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MONTE SISSONE – ENGADINA

domenica 17 marzo ‘19


Ricordo che quando ero piccolo mio fratello mi ha distrutto la Rolls-Royce. Avrà avuto si e no 2 anni; mio fratello, non il modellino della Burago. Intorno ai 4 ha spezzato il telaio della bicicletta. Ancora oggi, l’impresa resta un vero mistero. Ora si è calmato e non rompe più niente. Forse, qualche volta, le scatole alla sua ragazza ma questa è un’altra storia. Io invece di anni ne ho qualcuno in più rispetto quando Davide era un piccolo Vandalo e quest’anno sono riuscito a rompere un attacco nuovo di pacco e oggi una bacchetta da sci al primo utilizzo. Quando ero piccolo avrei potuto passare una giornata intera allo spaccio della Swarovski senza danneggiare nulla: devo essere stato proprio un bambino noioso. Ora sto recuperando con gli interessi.

La storia del bastoncino inizia lontano. Comincia col fatto che la coppia precedente è arrivata a fine vita: entrambi hanno perso il dentino sulla punta, le manopole vanno su e giù come l’ascensore dell’Overlook Hotel e una delle due si è piegata come le bacchette da discesa libera. Insomma dopo una decina (o forse anche qualcosa di più) di anni di onorato servizio, è venuto il momento di cambiarle. E la prima occasione per provarle è la salita al Sissone. L’idea iniziale era di salire dalla val Masino, forse dormire al Manzi o forse farla in giornata. Se fossi stato bambino avrei certamente considerato solo la prima soluzione, ora che ho perso il sale in zucca è ovvio che mi balzi in mente anche la seconda possibilità. Poi finisce che scegliamo l’opzione “comoda”, salire dal Maloja, con ritrovo alle 4:40 quando la mattina è ancora preda dei nottambuli mentre il sottoscritto alle 21:15 salutava il mondo degli svegli. Memore della mia guida alla Carlos Sainz, arriviamo al parcheggio con 45 minuti d’anticipo rispetto Google Maps ma si sa che quello se la prende comoda e così alle 7 siamo in pista. Non siamo gli unici folli: un’altra coppia di sgangherati parte insieme a noi alla volta del Torrone Centrale e così siamo in 4 a lasciare scivolare i legni sulla traccia ben battuta. Non ho mai visto il Perito Moreno ma qui potrei ammirare il Perito Fraclimb & Gughi: dopo la biforcazione col Muretto, la valle entra infatti come un coltello nel burro delle montagne. Solo che la sua lama è come quella del machete: lunga e quasi infinita. A metà c’è, appunto, il ghiacciaio del Forno, nome paradossale per una colata gelata. Fatto sta che la lingua non se la passa molto bene, ritirata e smunta come un maglione di lana dopo un lavaggio a 90°. Potrebbe insomma essere il Perito del Forno! Poi al termine dell’infinita distesa ci separiamo: la coppia che ci precede sale a destra, noi invece prendiamo il pendio a sinistra e la pacchia finisce. Eolo, dopo essersi lavato i denti con il nuovo Mentadent “alito fresco” ed averci già da una buona mezz’ora mostrato gli effetti dell’acquisto, inizia a fare sul serio finchè un paio di volte, addirittura, il placcaggio è talmente violento da costringermi a fermarmi. In queste condizioni, la vetta potrebbe sfumarci in un soffio, un po’ come in Patagonia dove il vento sposta le pietre! Invece sulla cresta usciamo quasi dalla camera del vento, raggiungiamo il deposito degli sci e la cima ci si para davanti in un ammasso di pietre che funge da vertice tra tre valli: quella del Forno, la val Malenco e la val Masino. Supero alcune facili roccette sperando che Eolo non mi faccia fare la fine dei palloncini di It sparandomi a galleggiare in aria e continui piuttosto a soffiare con costanza. In vetta non ho il coraggio di mettermi in piedi: resto seduto a cavalcioni, metà in Italia e metà in Svizzera, scatto i soliti inutili selfie e poi giù, verso il Gughi che, intanto, mi sta raggiungendo.

Al deposito degli sci veniamo investiti dall’orda di Annibale questa volta però arrivata da sud sotto forma di nuvole elefantiache senza che nessuna guardia di confine abbia tentato di fermare l’avanzata clandestina. Così nel giro di un soffio siamo avvolti in una coperta grigia dentro la quale ovviamente non si distingue una beneamata fava. Iniziamo a scendere poi la visibilità migliora e noi ci godiamo le poche curve che le gambe, sempre più simili a due pezzi di marmo, ci permettono di affrontare. Sul Perito dei Forni riusciamo in qualche modo a scivolare fino a raggiungere la confluenza con la valle per il passo del Muretto: in fondo, verso l’Engadina, altre nuvole hanno fondato una stabile colonia e l’unico punto dove splende il sole è proprio sopra le nostre teste. Praticamente è come se fossimo nell’occhio del ciclone. Poi rompo la bacchetta nuova e, azzoppato, mi tocca cimentarmi nello skating prima di rientrare al punto di partenza.


Cavallo Goloso


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