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STELLA ALPINA – CORNO DI CANZO ORIENTALE

domenica 24 luglio ‘16


Mi sarei dovuto trovare da tutt’altra parte, impegnato su una parete ben più imponente e gloriosa di quest’ammasso roccioso che, dalla base, sembra solo una falesia un po’ troppo cresciuta. Ma appunto il tempo avverso del sabato e l’instabilità dei giorni successivi hanno sconvolto i piani: ieri mi sono limitato a guidare speranzoso fino a Padova per poi fare inversione e riattraversare mezza pianura padana dopo aver scoperto che in zona Civetta pioveva! La società autostrade e le case petrolifere ringraziano!

Così oggi ci troviamo ad assecondare le bizze meteorologiche scegliendo una meta vicina a casa ma soprattutto che non richieda sveglie ad orari antidiluviani: credo che lo smacco subito abbia avuto degli inattesi contraccolpi negativi. Quando quindi il Giaguaro mi propone i Corni di Canzo, se sono comunque caianamente interessato, è soprattutto l’opportunità di dare ascolto al mio lato pigro a convincermi ad accettare. Partiamo quindi con comodo immaginando, almeno da parte mia, una salita da liquidare in poco tempo anche se, al momento, a liquefarci ci pensa la sauna del bosco sull’avvicinamento: stiamo salendo infatti a razzo incrementando il già alto tasso di umidità con i liquidi che perdiamo stile fontana di Trevi riuscendo poi anche a sbagliare la zona dell’attacco, superando il ghiaione dolomitico (anche la montagna sembra farsi gioco di noi!) che scende dal Corno e continuando in salita lungo il sentiero. La deviazione ci riduce a stoccafissi essiccati finchè, escludendo la possibilità di tagliare attraverso la selva oscura, ritorniamo sui nostri passi per poi salire lentamente gli ultimi metri verso l’attacco di Stella Alpina anche se, in tutta sincerità, avrei puntato alla via più impegnativa della parete, occasione che ci avrebbe portato a battere certamente due record: essere i più cretini ad aver mai scalato da queste parti ma, soprattutto, i primi a bivaccare sui Corni di Canzo!

Lascio quindi il terrazzino e inizio a scalare: oddio, a dirla tutta, le prime due lunghezze sono più una progressione su infido prato verticale con protezioni aleatorie su fili d’erba e arbusti bonsai, il tutto condito con passaggi su roccia simili ad un mischione eterogeneo di pezzi di puzzle differenti. Insomma: la manna del caiano! A dire il vero, il tratto più infido sarebbe anche facilitato da una corda fissa ma mi rifiuto ad afferrarla per due semplici motivi: primo verrei meno all’etica; secondo: a cosa diavolo sarà attaccato il canapone? Per il terzo tiro il Giaguaro si era proposto volontario così, quando lo raggiungo alla base della lunghezza, gli ricordo gli impegni presi. Lui però mi passa i ferri sostenendo che sia comunque il mio turno e che sia meglio rispettare gli ordini della cordata. Così mi avvio ad un bivio: da un lato la gloria della salita, dall’altro la possibilità di mettere una pietra sopra ad ogni sogno caiano! Insomma, nonostante i propositi durante la discesa dalla Osio Canali, alla fine ricado sempre nel loop caiano tra chiodi marci e arrugginiti. Lascio la sosta e rinvio il primo ferro che pare un picchetto piuttosto che un chiodo che sporge diversi centimetri dalla roccia. Quello successivo pare decisamente più saldo anche se un bel Camalot fa la sua bella figura a rinforzare il tutto mentre ciò che vedo all’orizzonte non mi rassicura granchè: la parete sale verticale e liscia solcata solo da questa stretta fessura stra-chiodata. Tiro fuori la staffa e inizio il mio gioco in artificiale. In realtà bastano poche rinviate ad abituarmi alla postura del salame anche perchè in fondo questi chiodoni non sono poi così male. Insomma, ho trovato la cura perfetta per fidarmi ciecamente di questi ferri evitando patetiche scene isteriche! A metà tiro, raddoppio i mezzi dell’artificiale per poi arrivare ad avere un terzo cordino sul traverso finale. Quando arrivo alla sosta, dopo aver incasinato per bene le corde e aver smontato diversi rinvii causa carenza di moschettoni, la lancetta dei minuti ha superato parecchie tacche dell’orologio, ben più di quante avrei pensato alla partenza. Il Giaguaro mi raggiunge per poi partire per la lunghezza successiva, l’ultima impegnativa della via. L’amico ha modo di divertirsi con la sua nuova staffa finchè arriva ancora il mio turno. Lascio la sosta con l’intento di scalare in libera sfruttando l’ottima roccia ma, soprattutto, la sicura dall’alto; così, nonostante l’abbondanza di chiodoni, vinco ogni istinto caiano e, da buon FF, arrivo sul filo del limite umano ben sopportando la pressione psico-fisica. Lascio quindi la sosta forte della mia prestazione e forse proprio tale condizione e il pensiero di poter facilmente addomesticare questa parte finale mi permettono di scalare con tranquillità e noncuranza per la carestia di protezioni e possibilità di integrazione. Tutto sommato quindi questo mucchio di calcare e dolomia è riuscito ad alleviare i malumori per i piani andati all’aria, offrendoci una salita comunque di un certo rispetto e con un pizzico di pepe inatteso.


Cavallo Goloso


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