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OSIO CANALI – PIZZO TORRONE ORIENTALE

sabato 16 e domenica 17 luglio ‘16


La sveglia mi butta giù dal letto alle 3:40. Mi muovo fluido come la protagonista del risveglio della mummia e poi mi caccio in auto con Micol alla volta dell’aeroporto di Orio per poi raggiungere Lecco dove mi devo ritrovare con Marco.

Quando partiamo per la val Masino, l’obiettivo non è ancora delineato, se non per il fatto che già oggi voglio iniziare a rimpinguare la collezione di bollini. Così, sfogliando la guida, salta fuori una via che può fare al caso nostro: lo spigolo sud del pizzo Torrone occidentale. Ci mangiamo quindi gran parte della Valle e la salita fino all’Allievi e oltre, cosa che per un assennato escursionista potrebbe essere già una gita di tutto rispetto, e poco prima delle 2 iniziamo la nostra scalata. A dire il vero le informazioni sull’attacco sono chiare come una lezione di fisica quantistica ma noi ci basiamo sul nostro spiccato istinto caiano e iniziamo là dove l’attacco pare più logico. Alla sosta del secondo tiro Marco mi comunica che c’è un problema: beh, a dire il vero, potrebbero essercene diversi visto che oggi stiamo scalando dopo circa 1800 metri di “passeggiata” e domani abbiamo in programma la Osio Canali! Comunque, se hai perso un friend o un rinvio, ti giro le coordinate del conto e lunedì sistemi la faccenda! No, mi chiarisce l’amico, la situazione è decisamente e dannatamente più grave: una scarpa d’avvicinamento ha pensato di essere sorella di Icaro e, non si sa come, si è staccata dall’imbraco precipitando giù verso la base! Sarà divertente ritrovarla o, peggio, scendere a valle con una scarpetta d’arrampicata! Lungimiranti, l’idea di calarci non ci sfiora nemmeno l’anticamera del cervello (muscolo che, evidentemente, per stare più leggeri, abbiamo lasciato in auto) e così continuiamo la nostra scalata. Superiamo due misteriose soste a spit che sembrano azzeccare con la via come la Nutella sulle acciughe ma, per il resto, praticamente non troviamo nulla. Anche la descrizione dei tiri non sembra in linea con la relazione ma di questo, a dire il vero, non mi stupisco più di tanto: evidentemente il Gaddi, in quanto a pulizia, è ben più abile di noi due! Eppure la logica della linea sembra dare ragione alle nostre scelte: così, affidandoci alla bussola caiana, raggiungiamo la fine della salita dove, stando alla relazione, dovremmo trovare la sosta a chiodi di Ciota Cicoz da cui calarci. Davanti a noi però sale un facile prato sassoso che conduce alla fine di Complicazioni Collaterali le cui calate a spit permettono di scendere alla base della parete. Logico quindi che qualche neurone scampato alla mattanza ci consigli di scendere da quella parte, soluzione che ci apprestiamo a seguire senza indugi individuando poi facilmente la prima calata. Filerebbe tutto liscio se, ottusamente, non scendessi a piombo verso la fine delle corde senza quindi accorgermi che la sosta seguente si trova sulla sinistra, oltre il diedro in cui mi trovo. Il risultato è una risalita delle corde con successiva pendolata per raggiungere Marco che, nel frattempo, a individuato la seconda calata. Ma la frittata è solo rimandata anche se, questa volta, non posso aver preso un abbaglio: semplicemente, la fila di spit seguita dall’inizio della doppia deve essere stata fagocitata dalla parete in un’opera di auto restyling della montagna! Allibiti e spiazzati, ringraziamo l’autore della relazione, raggiungiamo una cengia con spuntone e, alla faccia della pulizia alla Greenpeace, iniziamo ad abbandonare materiale per l’ultima calata. A questo punto, se venissimo bersagliati dai candelotti ghiacciati che penzolano in alto, saremmo nel pieno idillio dell’aquila! Manco avessero poteri da indovini, passano pochi minuti che iniziamo ad essere mitragliati da questi pezzi di ghiaccio che precipitano verso valle! Alè! Con la terza calata cerco di levarmi di torno dal poligono di tiro con la speranza di trovare anche la misteriosa prossima sosta. Invece va tutto storto: finisco in cima ad un canale senza alcun segno di passaggio ma ancora nel raggio d’azione dei pezzi di ghiaccio. Da qui scendiamo alla Preuss fino al nevaio sottostante e quindi all’attacco dello spigolo. Anche se mi pare più semplice vincere alla lotteria, ci guardiamo attorno nella fievole speranza di ritrova la scarpa finchè, forse come regola del contrappasso per le sfighe degli anni passati, la dea bendata mi fissa intensamente col suo sguardo acuto e io ritrovo l’oggetto della nostra ricerca! Poi però tutto finisce qui: ci carichiamo gli zaini e partiamo alla volta del passo del Torrone e quindi del bivacco chiudendo così il nostro peregrinare dopo una dozzina di ore! Peccato solo che la scatola di tolla, predisposta per 6 alpinisti, ne ospiti già 7: ottimo! Un materasso comunque salta fuori e così, dormendo con lo spigolo parallelo alla spina dorsale, passo la notte continuando a scappare dall’abbraccio di Morfeo. Mi viene in mente la saggezza di un mio ex compagno di scuola “una volta raggiunto il fondo, si può sempre scavare”: in effetti, avremmo potuto incontrare una squadra di 9 falegnami intenti a fare la scorta per l’inverno!

Quando mi alzo alle 6:00 mi sento, tutto sommato, riposato e con la testa proiettata verso la Osio Canali. Manca solo di portarci anche il corpo dopo una piacevole passeggiatina di un’oretta su gande e neve gelata, ed eccomi quindi all’attacco della via. Sul primo facile tiro devo districarmi con i resti della nevicata di qualche giorno prima ma è soprattutto quando sono in sosta che mi pare evidente quale sia la differenza tra il caianesimo e una via da FF. Mi ritrovo infatti ancora sotto il mitragliamento di alcune stalattiti di ghiaccio che penzolano nel diedro ombroso sopra la mia testa. L’idea è quella di guadagnare più tempo possibile unendo due tiri per volta e così facciamo per la prima parte della parete. Supero quindi da capocordata un bel diedro dato sul V che non mi risparmia alcuni movimenti da sgommatina nelle mutande ma poi scampo dalla lunghezza più impegnativa che, quasi sicuramente, mi avrebbe visto protagonista di una patetica scena di terrore isterico facendomi scaricare l’imbraco di tutto il materiale. Marco invece supera la fessura fisica con la facilità con cui mi divorerei un mezzo chilo di gelato. La lunghezza successiva ci riporta sul filo dello spigolo dopo un passaggio nel regno delle tenebre che sembra ricordare certe foto dell'Eiger. Stando quindi alle nostre informazioni, dovremmo avere vita facile per i prossimi tiri prima del tratto finale e invece ci blocchiamo; la nostra progressione sembra diventata sorella di un computer invecchiato forse a causa del terreno in parte coperto di neve e ghiaccio che ci costringe ad alcune impreviste peripezie e equilibrismi per passare da una roccia asciutta all’altra. Il risultato è che raggiungiamo la zona delle calate e la base del salto finale ben più tardi di quanto avessi preventivato e, forse anche per timore della successiva complessa discesa, tutta la mia baldanza caiana viene spazzata via mentre la mia mente si sta già focalizzando sulla discesa. Così, abbandonata ogni velleità di vetta, troviamo la prima calata e ci buttiamo fino alla cengia sottostante. Siamo completamente avvinghiati nel freddo e spigoloso abbraccio della signora con la falce: infatti, più che su una vera cengia, ci troviamo su una specie di prato ripido, tagliato da sottili tratti più appoggiati collegando i quali riusciamo a perdere ulteriori preziosi metri. Solo che qui è assolutamente vietato sbagliare: di fare sicura non se ne parla nemmeno e un qualsiasi piede in fallo ci farebbe diventare dei novelli Icaro, stile scarpa di Marco! Seguiamo gli ometti ma della calata seguente non c’è alcuna traccia. Quasi certamente la sosta sarà sotto la neve che a tratti ricopre ancora il pendio: mi sento spaesato, completamente alla mercé della parete che può fare di me quello che vuole. Rimpiango la sicurezza delle soste a spit, delle bistrattate salite da FF mentre inizio a cagarmi letteralmente sotto. Potremmo piantare dei chiodi ma se poi la sosta non tenesse? E se non dovessimo nemmeno trovare le calate successive? Alla fine mi convinco che sia meglio pensare all’immediato presente e così pianto i chiodi: il primo è di dubbia tenuta ma il secondo canta un acuto degno di un soprano. Continuo però ad avere una bassa fiducia in quello che le mie mani producono col risultato che impiego una mezza eternità a calarmi. Alla fine la sosta tiene e così ci prepariamo a superare una placchetta in salita per poi raggiungere la successiva serie di calate mentre Marco prende il comando relegandomi non dico ad inerme pacco postale ma certamente togliendomi l’ebbrezza e gli oneri del trovare le calate, compito che sullo spigolo di ieri non mi ha certo visto brillare! Quando arrivo a terra avrei quasi voglia di baciare la nave, i sassi e la terra ma la vista del calvario che ci rimane da superare mi distoglie da ogni senso di giubilo: del resto, il paio di migliaia di metri di discesa e una piacevole passeggiata di circa 7km per superare la Valle sono un’interessante sfida per saggiare la tenuta psico fisica dopo essere scampati da una potenziale prigionia sulla parete!

Quando raggiungo l’auto, a seguito dell’esperimento per dimostrare se il mio fondo schiena sia più o meno sodo del granito, mi ritrovo con una chiappa semi distrutta e la pianta dei piedi che urla a pietà a ripetizione: fortuna che domani sarà lunedì e potrò finalmente godermi il meritato riposo in ufficio!


Cavallo Goloso


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