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SPIGOLO DORN – PRIMO MAGNAGHI (O MAGNAGHI MERIDIONALE)

domenica 19 maggio ’24


Era un po’ di tempo (beh, forse nemmeno così tanto) che non provavo la “coniglite” o, come poi si prova a giustificare, un saggio e sano senso dell’autoconservazione che contribuirebbe ad agire per il meglio. Poi quando gli altri passano là dove si è ribattuto, ci si mangia le mani e ci si chiede se invece di un bel coniglio stufato si fosse banchettato con una corposa porzione di coraggio cosa ne sarebbe venuto fuori. Tutto inizia con noi caiani col naso all’insù a guardare le pareti della Grignetta grondare acqua da un po’ tutte le parti e iniziare a rovistare tra gli zaini alla ricerca di tampax, asciugamani e spugnette. La mia idea è quella di tornare ai Magnaghi anche perchè, dopo la doccia dello scorso anno al Fungo, non ho voglia di ripetermi (almeno su quella parete), così con Walter e Marco puntiamo all’Albertini o al Dorn sperando di non dover accendere le idrovore o praticare un po’ di cascatismo fuori stagione. Saliamo quindi con gli allievi verso le pareti o forse sarebbe meglio dire verso le nuvole perché di fatto è solo quello che vediamo; quando poi giriamo l’angolo oltre lo spigolo in direzione della normale, pare di essere all’inizio delle celebrazioni al Gange con stuole di caiani che risalgono verso gli attacchi: è scattata la gara tra le cordate ma noi siamo messi bene, risalgo alla sella e poi guardo giù nel canale dove all’attacco dell’Antidorn si trova già un trio - È tutto lavato: salmoni sull’Albertini e trote sul Dorn. Di asciutto c’è la normale al Sigaro - Ah bene: comunico la notizia che non so se sia vera o sia solo una scusa per farci levare di torno e quindi decidiamo di migrare nuovamente dall’altra parte, verso il Porta. Ovviamente a quel punto perdiamo tutti i diritti di prelazione e finisce che ci accodiamo ad altre due cordate che puntano anche loro al pistolone con la croce in cima. A dire il vero, pensavo peggio: sulla prima lunghezza la roccia è sì bagnata ma non ci sono cascate e torrentelli, basta solo convincersi che le scarpette tengano, accendere un cero e poi salire. Alla sosta, in uno dei pochi momenti in cui le nuvole decidono di aprirsi, la situazione si fa meno rosea: l’Albertini gronda come fossimo all’acqua-park e i primi metri per deviare sul Sigaro non sono messi meglio. Poco importa: saliamo alla sosta seguente e poi vedremo il da farsi. Qui si forma un bel grappolo: le due cordate che ci precedono giocano a fare avanti e indietro sull’Albertini nella speranza di scavalcare sul missile a sinistra e noi ce ne stiamo appesi ad attendere finchè provo a partire infilandomi nel camino tra le due strutture perché a salire sullo scivolo verticale e bagnato del Magnaghi proprio non me la sento. Faccio il verme su per l’anfratto bagnato e mi riesce bene, raggiungo il fittone che forse un po’ mi ha tratto in inganno e poi mi areno. Sono assalito dai dubbi: le prese per uscire sul Sigaro ci sono ma sembrano troppo dure... e se poi dovessi cadere? L’allieva mi terrà? Provo ma appena sono sopra la protezione ecco che il cameriere mi porta un intero coniglio stufato! Ribatto, mi sembra la soluzione più saggia (o almeno quella che mi dovrebbe salvare) anche perché ho idea che potremo sempre scappare sullo spigolo Dorn. Così torno indietro ad affollare nuovamente la sosta e poi riparto verso destra. Traverso la parete seguendo protezioni e colate d’acqua ma almeno si scala anche se ogni tanto, il maledetto cameriere prova a propinarmi una coscia di coniglio. Così risaliamo la parete che, man mano si assottiglia assomigliando sempre più alle sponde del Gange con innumerevoli puntini colorati che si daranno a breve appuntamento al collo di bottiglia. Superiamo il breve tratto di cresta in conserva e poi lasciamo gli altri pellegrini al loro destino perchè per noi è giunto il momento di gettare le doppie sulla ovest e rientrare ai Resinelli.


Cavallo Goloso


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domenica 29 luglio ‘12


Il mio compagno d’avventura non proferisce parola: se ne stà zitto zitto appollaiato sulle mie spalle, lasciandosi dondolare dal ritmo da maratoneta. Sono le 11 passate: la conseguenza del poltrire a letto è una partenza ad orari più consoni ad una gita sul lago che ad andare in grignetta alla fine di luglio, così dopo aver scaldato i motori cerco di guadagnare il tempo perduto. Esclusa a priori la Piramide Casati per ovvi motivi legati all’avvicinamento, non mi resta che optare per i più comodi e classici Magnaghi che, decisamente, rispondono meglio alla mia pigra richiesta e alla ricerca di un po’ d’ombra. Ovviamente le semplificazioni terminano qui perchè, rivolgendo le mie attenzioni al versante più complesso e ombroso del Magnaghi Meridionale, apro di contro la porta a salite comunque mai banali: d’altro canto, se si vuol caianare, le cose devono essere ben fatte!

In ogni caso, come volevasi dimostrare, il ritmo forsennato non porta a nulla se non ad una sudata epica, un battito cardiaco impazzito e un accumulo di acido lattico da fare invidia ad un 800metrista. Come conseguenza, al bivio sulla Cermenati per i Magnaghi, mi devo fermare se non voglio vomitare l’anima e far rinsecchire completamente l’esofago. Il successivo tratto in falsopiano e la visione sono poi i fattori determinanti per permettere al mio stato psico-fisico di ricomporsi: ai miei occhi appare una muraglia calcarea sovrastata da un generoso drappello di nuvole che regala un po’ di ombra e piacevole frescura a questo deserto di pietre e rocce.

L’inconveniente è che, non so se attratti dal miraggio di un clima un po’ più mite o dallo spread, un manipolo di punti colorati scorazza sulle pareti tra il Sigaro e i Magnaghi. Proseguo comunque imperterrito la mia marcia mentre la cura ingrassante del compagno inizia a dare i suoi effetti, per poi arrestarmi alla base della Panzeri, la via che secondo i piani stilati comodamente a tavolino dovrei salire. Inizio quindi la mia opera di vestizione trasformandomi rapidamente in un albero di Natale che, al posto di bocce e ghirlande, indossa friends, dadi, moschettoni e rinvii che hanno in comune con gli addobbi solo una certa varietà di colori brillanti; il dubbio intanto si insinua sempre si più: guardo la guida e la pancia inizia a dolermi, osservo la parete mentre questa spalanca le sue fauci da orco. Mi sento come l’agnello sacrificale sopra il patibolo, lascio una sgommata sulle mutande e, con la scusa che c’è ressa, faccio un balzo e mi dileguo. Come alla Casati, anche qui la codardia (oppure è l’istinto di sopravvivenza?) mi consiglia di fare dietro front e puntare allo spigolo Dorn, se non altro perchè non l’ho ancora relazionato!

Risalgo quindi il canale d’accesso lasciando la corda penzolare verso il basso; ovviamente questa si incastra e quello che avevo previsto come un guadagno di tempo si rivela invece una gran seccatura che mi costringe a tornare sui miei passi. Recupero la corda e risalgo, ancora slegato, il canale tra il Magnaghi e il Sigaro. Ora la spavalderia torna in fondo al mio compagno di viaggio e, con una bella diagonale, raggiungo la sosta seguente dando poi il via al gioco del tira e molla: prima si sale, quindi si torna giù e poi ancora su! Sul tiro successivo torno a fare lo sbruffone per poi, sull’ultima lunghezza, essere nuovamente alle prese con l’autosicura. Finalmente, già un po’ stufo e stanco, sbuco sulla cresta e quindi proseguo lungo la mia salita puntando alla forcella del GLASG e alla normale sulla parete sud est del Magnaghi Settentrionale: accuso i primi sintomi di stanchezza e non mi va di ripetere la solfa del sali-scendi per recuperare il materiale, così un bel terzo grado classico sembra la migliore soluzione per raggiungere rapidamente la vetta.

La placca che mi si para d’innanzi non ispira grande fiducia e siccome più in alto si profila un insolito e minaccioso strapiombino, decido di autoassicurarmi nuovamente. E la scelta non si rivela sbagliata: la placca seppur facile è comunque delicata e lo strapiombino è ben lungi dall’essere un semplice III grado; a questo punto il dubbio di non essere sulla via scelta si fa praticamente certezza che comunque avrò quando, una volta raggiunta la sommità del torrione e dopo una più attenta consultazione della guida, scoprirò di aver salito la Bartesaghi. In ogni caso, metro dopo metro, collego tre lunghezze in una per poi lasciarmi un solo tiro che mi permette di uscire dalla parete e arrivare alla croce del Magnaghi in tempo per assicurarmi il gusto della vetta per poi chiudere il cerchio a quest’avventura in formato mignon.


Cavallo Goloso


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