racconto della via mombi ai pilastri del pesgunfi, val masino (sondrio, lombardia)


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MOMBI – PILASTRI DEL PESGUNFI

sabato 10 aprile ‘10


L’indecisione regna sovrana: Cece spara nomi a raffica mentre Colo gli risponde. Io ho un’unica richiesta: voglio una via impegnativa, di quelle che ti lasciano il segno. Alla fine la spunta Cece: Mombi diventa quindi l’obiettivo di giornata. L’avvicinamento praticamente nullo mi porta in una zona della Valmasino praticamente sconosciuta. Attratto dalla Valle o dal Sasso Remenno non ho mai scalato al Pesgunfi, settore con alcune linee decisamente ardite, tra le quali spicca l’abominevole Socialmente Inutile, itinerario di artificiale estremo superato in completa arrampicata libera dal Simo con difficoltà fino all’8b!

Il nostro itinerario si discosta anni luce da Socialmente: 6b obbligato e su spit, ma che riserverà delle gradite sorprese, pur non rispecchiando pienamente le mie mire ambiziose. Come consuetudine i primi due tiri sono appannaggio di Cece: superiamo così i delicati passi d’aderenza e veniamo subito a contatto con le caratteristiche di questa linea. I tratti più difficili sono sempre ben protetti (e in alcuni casi azzerabili), ma sotto il 6a ci si ricorda di essere vicini alla Valle e l’unico imperativo rimane: non cadere!

Arriva il mio turno: la terza lunghezza mi propone un’arrampicata su curiose concrezioni svasate, ottime come appoggi, un po’ meno come appigli. Supero il tiro a vista, utilizzando una quantità inverosimile di magnesite, più per motivi nervosi che per una vera e propria esigenza. Poi la lunghezza più dura: la prima metà scorre senza problemi, poi c’è da rimontare un tettino e proseguire per placca. Il problema però è legato alla colata d’acqua che lava la parete proprio dal tettino in avanti. Spostarsi a destra o a sinistra è improponibile: l’unica via di salita è passare sull’acqua! Mi devo improvvisare “Cece della situazione”: inizio a risolvere il primo passo con una bella staffata. Poi però devo appoggiare il piede su una netta tacca ricoperta d’acqua, tenendo una tacchetta completamente lavata. Sperando di non perdere la presa, mi alzo delicatamente fino a raggiungere un appiglio migliore ma pur sempre bagnato. Spalmata sull’acqua mentre la protezione brilla sotto i piedi e poi finalmente una buona lama da cui riesco a proteggermi. Da qui alla sosta è un continuo tirar di rinvii alternati a brevi spalmate sull’acqua. Con un ultima lunghezza, che ci riserva un delicato passo d’aderenza, raggiungiamo la fine della via per poi iniziare le calate.

C’è però ancora il tempo per salire i primi due tiri di Spalma e Stampa e poi un monotiro in fessura di Ongaro prima di rintanarci da Monica a ingurgitare qualche liquido.


Cavallo Goloso


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