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VIA DEL MISSILE – MONTE CASALE

sabato 15 ottobre ‘11


Mi affido totalmente alla proposta di Fabio, d’altro canto la veloce lettura della relazione sembra garantire l’ennesima caianata; inoltre, anche se la parete non è proprio dietro l’angolo, l’opportunità di rimpolpare il curriculum mi fa gongolare e così mi ritrovo ad attraversare la Lombardia alla volta di Arco.

L’unico dubbio è legato al tempo di salita dichiarato dalla guida: 7 ore per 10 tiri ci sembrano un po’ tantine e, per di più, dovremo essere entrambi di rientro per un ora decente. Preparo quindi un piano mentale delle tempistiche che mi permetta di essere di ritorno poco dopo l’ora di cena con la conseguenza che dovremo affrettarci sull’avvicinamento, essere rapidi in parete e correre in discesa! Ovviamente la minuziosa programmazione salta ancora prima di indossare gli zaini visto che il viaggio in auto si rivela più lungo del previsto.

Due cordate ci precedono e i nostri programmi si sgretolano sotto i colpi incessanti delle lancette dell’orologio. Visto che la progressione non procede a braccetto con la rapidità, si fa largo l’idea che potrebbe essere meglio cambiare obiettivo, solo che non avendo idea delle difficoltà delle altre vie, siamo relegati su questa porzione di parete.

Se non altro riesco ad evitare “carta-forbice-sasso”: visto che Fabio si offre per la prima lunghezza, a lui spetteranno i tiri dispari e a me i pari e così iniziamo la nostra scalata più preoccupati per lo scorrere dell’orologio che dalle difficoltà che dovremo affrontare.

Giro lo spigolo e posso vedere il secondo tiro: marcio, marcio e ancora marcio. Sarà il valzer dell’appiglio frantumato! E invece no: la roccia, d’aspetto friabile, si dimostra invece inaspettatamente compatta e rapidamente guadagno la sosta. Perdiamo del tempo prezioso aspettando che la cordata di testa finisca la lunghezza successiva: sono quasi dell’idea di buttare le doppie per evitare il bivacco ma poi ripenso al viaggio, alla salita, al curriculum e non esterno la mia proposta.

Man mano che ci allontaniamo dalla base, mi rincuoro sempre di più: la via a spit che corre di fianco alla nostra ha le soste attrezzate per la calata, mal che vada potremo scendere da lì. Sempre che, effettivamente, sarà necessario farlo: ci troviamo infatti già a metà della salita e iniziamo a chiederci con maggiore insistenza come sia possibile impiegare 7 ore per completare la via.

I tiri pari sono quelli più interessanti: la roccia ha sempre un aspetto poco tranquillizzante ma, in realtà, è di ottima qualità. Il suo colore giallo-arancio ricorda la Gogna o Breakdance in Medale ma lo stile di scalata è decisamente meno fisico e, viste le numerose fessure, più simile all’arrampicata su granito.

Quando le nove lunghezze sono ai nostri piedi è pomeriggio inoltrato: mi ero immaginato una lotta estenuante all’insegna del puro principio caiano del guadagnare la vetta a tutti i costi; mi figuravo spossato guadagnare centimetro dopo centimetro l’uscita dalla parete e cadere bocconi nel bosco sommitale. E invece mi ritrovo contento ma non pienamente appagato a sistemare la corda con la convinzione che potremo guardare ad obiettivi più impegnativi. Al momento però ci limitiamo a soffermarci sulla discesa che praticamente affrontiamo quasi interamente di corsa con un solo tentennamento quando dobbiamo superare una stretta e profonda forra su un ponte di tronchi.

Il materiale appeso all’imbraco martella in continuazione sulle cosce; il ripetuto tamburellare, da semplice fastidio, diventa una vera tortura e alla fine mi costringe a levare l’imbraco mentre smettiamo di correre perché l’orologio non è più l’assillo principale della giornata: ora è tutto demandato al traffico del rientro...


Cavallo Goloso


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