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BOLETTONE – TRIANGOLO LARIANO

domenica 08 settembre ‘13


Le previsioni non promettono nulla di buono: tuoni, fulmini e diluvio universale saranno praticamente sicuri e, ad essere fortunati, potremmo confrontarci solo con una semplice piovuta. Rimandiamo così gli accordi con Boris direttamente alla mattina e incrociamo le dita. La sveglia trilla ad un orario né caiano né da FF e il cielo ci saluta con inaspettati sprazzi azzurri: l’ennesima steccata meteo?

Quando però lasciamo casa, il cielo sopra le nostre teste si è già ben ingrigito mentre sulle montagne non promette proprio nulla di buono; siccome però siamo degli inguaribili caiani, facciamo finta di nulla e saliamo velocemente all’Alpe del Viceré. La prima costatazione è che di pazzi è pieno il mondo: convinto di trovare si e no quattro gatti, ci imbattiamo invece in un certo via vai di escursionisti lungo la mulattiera che porta alla capanna Mara. Ci accodiamo quindi alla piccola folla basandoci sul fatto che, se anche dovesse piovere, non dovremmo avere particolari problemi a fare dietro front.

Prendendo quindi la giornata così com’è venuta, senza alcuna particolare pretesa, superiamo la comoda mulattiera raggiungendo come se nulla fosse il menù del rifugio; la voragine provocata dai due pasti saltati della falesia del venerdì e della “grignettata” di ieri diventa un buco nero di fronte a polenta con formaggio, salumi, brasato e torte della casa. È forse solo l’orario che mi impedisce di intrufolarmi e mettermi a far razzia con le gambe sotto il tavolo e dilapidare il mio gruzzoletto. Così procediamo lungo il sentiero puntando, manco a dirlo, alla vetta. Senza però aver ancora definito quale cima raggiungere, ci lasciamo consigliare dalle nuvole: andremo dove il grigio è meno minaccioso! Così, tra il gettarci nelle oscure e tetre fauci del Palanzone sul quale si è posato un sombrero funereo oppure rivolgerci al ridente grigiume del Bolettone, optiamo per quest’ultimo.

Saranno le allucinazioni del cibo o i toni del cielo, fatto sta che l’obbiettivo mi sembra chilometricamente lontano, così assecondo la decisione con un sottile velo di preoccupazione. Invece la cima si avvicina con rapidità inaspettata, forse anche perchè gran parte del percorso si sviluppa in un fitto bosco sotto il quale diventa difficile comprendere la propria posizione. Quando quindi mi ritrovo sull’ultimo tratto di sentiero che porta alla croce di vetta, sono sorprendentemente stupito della reale brevità del percorso.

E fin qui c’è anche andata bene: di pioggia non ne abbiamo vista neppure l’ombra nonostante la minaccia continui a restare una costante. Quasi noncuranti, decidiamo quindi di proseguire verso la bocchetta di Lemna e poi si vedrà. Così alla fine, essendocela in fondo andata a cercare, i rubinetti si aprono: inizialmente con una certa insistenza per poi ridursi rapidamente ad una sola lenta e scocciante perdita che svanisce nel nulla. La giornata quindi è salva e si chiude con il rientro nella fatata foresta di faggi resa ancora più affascinante dalle luci del tempo post apocalittico.


Cavallo Goloso


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