|racconto|   |relazione|   |foto|


PIZ PLATTA – OBERHALBSTEIN

sabato 21 maggio ‘16


Settimana scorsa alla radio si parlava di OPG e della loro chiusura. Il cronista, nella sua dotta filippica, sosteneva che ci sia addirittura un 40% della popolazione affetto da pazzia. Quindi, secondo tale teoria, quando mi trovo con Micol, abbiamo la quasi statistica certezza che uno dei due non debba avere le rotelle completamente a posto e lo stesso dicasi quando mi confronto con il mio capo!

La sveglia suona alle 3:30: fuori il buio regna sovrano. Alle 4:00, la macchina rompe il silenzio e alle 6:40 inizio a camminare sci in spalla. Sono poco sotto i 1500 metri di quota e la primavera è nel pieno del suo rigoglio. Ho l’ARVA acceso anche se sono completamente da solo (strano: mi sarei aspettato una frotta di scialpinisti disposti a portarsi i legni in spalla non si sa bene per quanto!) e, al momento non vedo un briciolo di neve: forse la pala che custodisco nello zaino potrà tornarmi utile per scavare le patate!

Fiducioso, cammino di buon passo su per la mulattiera ma, a causa dello sviluppo considerevole, dopo un’oretta, mi trovo solo 400 metri più in alto rispetto la partenza. Se non altro, lo spettacolo che mi si para dinnanzi ripaga della fatica e della levataccia: l’immenso prato che ho davanti è infatti un tipico esempio di costume d’Arlecchino mentre più sopra la cima del Platta veste i panni di Pulcinella o, se vogliamo, di un tifoso juventino. Evidentemente la natura ancora ferma al Carnevale deve risentire del ritardo temporale dovuto all’altitudine!

Intanto attraverso un breve autunno lungo il sentiero estivo che sale sul versante sinistro per infilarsi poi nella valle laterale che gira attorno alla parete del Platta. Intorno ai 2100 metri di quota e dopo 1 ora e 3 quarti di portage compio l’ultimo salto nel passato e posso finalmente inforcare gli sci. Risalgo il ripido pendio facendo lo slalom tra le rocce mentre due marmotte si rincorrono sulla neve: che ci fa quello da queste parti a fine maggio?

Per il resto, non c’è alcuna traccia di passaggio mentre la valle continua a salire infinita davanti al mio sguardo. Mi prefiggo una serie di obiettivi: prima quel pianoro, poi il pendio successivo e quindi ancora un tratto in falsopiano. Ma quanti sono? Inizio a capire perchè la guida dia 6 ore e 30! Saranno “solo” 1900 metri ma per superarli bisogna mettere nelle gambe parecchi chilometri!

Il periplo intorno alla montagna mi porta così davanti al ripido canale che conduce alla vetta straripante di neve fresca. Mi fermo a rifiatare e, sebbene mi senta come annebbiato per la calura, sono sicuro che lassù qualcosa si stia muovendo: un punto nero in cima al pendio sembra dondolarsi di qua e di là. Che ci sia qualcun altro oltre al sottoscritto? Un sibilo fende l’aria, seguito subito da un secondo. La strana figura si muove con la regolarità di un pendolo finchè una folata di vento le scopre il cappuccio rivelando un volto scheletrico e dal ghigno beffardo! La falce che impugna nella mano ossuta brilla nell’aria mentre colpisce il manto nevoso. Riprendo la mia marcia verso l’altra via di salita raggiungendo così il termine della vallata e il relativo crinale. Mi sento stanco: fin dalla partenza non ho provato le stesse sensazioni delle testa dell’Ubac, qualcosa non è andato propriamente nel verso giusto ma ora che mi mancano poco meno di 200 metri, non posso certo dare vinta la salita alla montagna! Così, ramponi ai piedi, inizio a traversare verso lo stretto canalino che spero possa condurmi fin dove la parete termina di salire. Qua e là mi pare anche di riconoscere delle vecchie tracce di salita ma forse sono solo vittima di un miraggio! In ogni caso, riesco rapidamente a raggiungere la base del canale agognato che ora si rivela per una specie di scolo della fogna: da lì pare infatti evidente che la montagna vomiti qualsiasi cosa le risulti superflua e quindi, l’unico modo per evitare di essere colpito dai proiettili, consiste nell’essere il più rapido possibile a raggiungere il riparo più vicino. Divento nero, con la tuta gialla e dalle tribune urlano il mio nome: Bolt! Bolt! A metà passo sotto la ghigliottina di un evidente ma piccolo distacco di valanga: il boia però dev’essere già sazio del periodo del terrore perché non lascia cadere la lama permettendomi quindi di completare sano e salvo gli ultimi metri del canale. Ora non mi rimane che una semplice calotta nevosa: non vedo la cima ma sono certo che si debba trovare da qualche parte poco più sopra. Il problema è che ora affondo nella neve inconsistente per metà gamba e, come se non bastasse, sotto i ramponi si forma una zeppa che peserà come un macigno. La croce che si materializza dopo pochi passi è una visione mistica e, quando la raggiungo dopo una lotta furibonda, sono solo capace di sedermi per cercare di radunare le forze rimaste.

A un tiro di schioppo, sono circondato da cime imponenti e eleganti: scatto qualche foto, compilo il libro di vetta con una frase insignificante segno che anche il cervello dev’essersi completamente svuotato e poi mi rimetto in marcia per togliermi prima possibile di torno il tratto tecnico.

Quando parto con gli sci, so bene che non mi gusterò una gran discesa dovendomi probabilmente arrangiare su una poltiglia tipo porridge eppure la neve, tutto sommato, non si rivela poi così brutta. Se solo, invece che starmene comodamente svaccato come fossi in poltrona, riuscissi a portare in avanti il peso! È come se una forza misteriosa mi tirasse con forza indietro: sarà forse il mio pesante fondoschiena? In qualche modo comunque perdo quota, fingendo anche di saper quasi sciare finchè arrivo in vista del prato sotto la cima. Mi infilo nella valletta a fianco del torrente cercando di sfruttare al massimo ogni lingua residua di neve finchè mi trovo a sciare tra sassi e noccioli. Ora basta: torno nuovamente con gli sci in spalla e quindi, seguendo una vaga traccia, arrivo finalmente al prato sottostante.

Sono tranquillamente intento ad attraversare l’immensa piana dando libero sfogo alla mia pazzia quando un’auto si accosta: sono pronto ad una romanzina tedesca per aver attraversato il prato senza essermi servito della mulattiera su sui mi trovo ora e invece mi viene offerto un generoso e inaspettato passaggio. Ma cosa ne sarebbe della salita se lo accettassi? Che scriverei poi sul sitodiriferimento? Ringrazio e rifiuto. Il 40% della popolazione è folle!


Cavallo Goloso


Per lasciare un commento, clicca QUI