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POLIMAGO' – SCOGLIO DELLE METAMORFOSI

sabato 02 aprile ‘11


L’obiettivo cade dall’alto come un fulmine a ciel sereno; ci avevo fatto un pensierino dopo l’Albero delle Pere: se sono passato senza problemi dalla placca finale, dovrei farcela anche a superare il fatidico traverso di collegamento con Luna. Ma tengo solo per me queste considerazioni anche perché Polimagò non è solo quel traverso. Anzi. Alla fine è Fabio che tira in ballo la via: le previsioni promettono un week end da urlo, si tratta solo di scegliere il giorno. Sabato caianata e domenica con Micol o viceversa? Alla fine l’idea è quella di andare con Micol sabato e il giorno dopo con Fabio su Polimagò: Cece è fuori gioco causa impegni lavorativi ed Ema sarà impegnato la domenica. Tutto sembra essere perfettamente organizzato. Ma poi venerdì squilla il telefono. È Cece: niente lavoro sabato e quindi cambio di programma!

Così ci ritroviamo nuovamente stipati sull’auto in direzione della val di Mello: Fabio ed Ema; io, Cece e Luca. Quando raggiungiamo l’attacco della via, non è ancora arrivato nessuno. Non ci resta che lasciare decidere alla sorte quale sarà la cordata di testa e quindi aprire le danze. La spuntiamo noi e così Cece inizia la sua salita verso la cima dello Scoglio. Il primo tiro, in comune con Luna Nascente, dovrebbe essere facilmente superabile ma l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Il dado incastrato ha il cavetto rotto e quindi è inutilizzabile: non resta che estrarre la staffa e superare lo scorbutico passo d’ingresso. Solo io seguirò fedele le gesta del primo di cordata: Luca, come da copione, passa in libera mentre Ema e Fabio si limitano ad una tirata di rinvio. Come inizio non c’è male: mi rendo subito conto della mia incapacità agli incastri, cosa tra l’altro già nota. Nel frattempo sotto di noi si è radunata una piccola folla: speriamo solo che puntino a Luna e non vogliano accodarsi alla nostra carovana.

E dopo lo spuntino iniziale, sotto con le portate pesanti! Cece sale la prima lunghezza in camino optando per la variante “semplice”: pur salendo da secondo mi rendo facilmente conto delle capacità del nostro capo cordata. Se il primo tratto è infatti addomesticato da una fettuccia penzolante, più in alto, dove le difficoltà diminuiscono leggermente, è decisamente più complicato proteggersi. Lì non bisogna cadere ma, semplicemente, continuare a salire fino alla sosta. E poi davanti a noi si para il secondo tiro in camino. Sulla carta dovrebbe essere più facile del precedente ma in realtà si presenta molto più impegnativo, soprattutto se non si è per nulla avvezzi a quel genere di scalata. Cece comunque supera abilmente la prova e quindi tocca a me seguirlo. L’inizio non è dei migliori ma, almeno, ho il conforto di un chiodo rovescio sopra la mia testa. Mi appoggio con la schiena alla parete della struttura mentre i piedi spingono sulla lama staccata: sono perfettamente incastrato dentro la cavità tra le due strutture. Afferro il rinvio e guadagno qualche centimetro prezioso. Inutile dire che mi sento sicuro come il naufrago in mezzo al mare in tempesta. Con l’altra mano riesco a raggiungere il bordo della lama che branco con tutta la forza che ho. A questo punto dovrei solo girami, uscire dal camino e portarmi all’esterno della lama, con il sedere che guarda verso il fondovalle. Stacco la corda dal rinvio. Faccio una sospensione monobraccio (e sono solo sul quinto grado!) e già mi vedo sfracellato dentro il camino, incastrato come un cuneo tra la parete e la lama ma, un attimo prima di diventare un tutt’uno con la montagna, mi porto all’esterno della lama. Il più è fatto, solo non riesco a recuperare il rinvio! Fortunatamente dietro di me c’è Luca che penserà a prendere ciò che io ho lasciato. Il traverso verso la sosta è come un lento avvicinarsi alla salvezza: del resto ogni grande via è anche sinonimo di grandi emozioni.

Nonostante tutto, mi offro per prendere il posto di Cece: voglio guadagnarmi anch’io la salita e con un certo senso di autolesionismo mi propongo proprio per il passo chiave sopra la lama. Dopo aver dato un’occhiata alla parete, inizio la mia lenta progressione. Per la mano destra ho un appiglio più che buono ma per la sinistra ci sono solo vaghe tacchette buone solo per le unghie. I piedi poi sono alla disperata ricerca della protuberanza più accentuata. Teoricamente sono in grado di superare il passo ma praticamente è un’altra cosa, per di più la gamba destra inizia a ballare un lento tango. Sono molto vicino ad una crisi mentre già mi vedo sfracellato sulla sosta mentre maledico il momento in cui mi sono offerto volontario, per la serie “te la sei voluta e ora...!”. Riesco, non so come, a ritornare sui miei passi e a riprendere fiato. L’istinto di sopravvivenza mi consiglia di cedere le corde a Luca ma il folle orgoglio personale mi fa focalizzare tutta l’attenzione sulla soluzione per risolvere il passaggio. Studio attentamente la roccia. Pochi centimetri più a sinistra gli appoggi sono un po’ più netti, d’altro canto per le mani ho solo delle tacchette ma è anche l’unica possibilità per passare. Memorizzo i movimenti e ritento la scalata: questa volta non prendo quasi in considerazione la grossa presa che mi aveva fatto tanto penare e, con un certo sollievo, scopro che da quella posizione le tacche sono meglio gestibili. Alzo lentamente i piedi mentre le mani sudano non poco, afferro come una specie di cresta e quindi una piccola lametta e sono fuori. Sospiro di sollievo e riprendo la mia scalata. C’è ora una piccolo strapiombino da superare, nulla di particolarmente impegnativo. La roccia è stupendamente lavorata con funghi e concrezione; la via si sta rivelando un concentrato di tipologie differenti di scalata: dal camino-diedro iniziale alla placca tecnica e alla scalata su funghi e poi fessure perfette.

La lunghezza successiva mi permette di godere della parete e del sole che illumina lo Scoglio: una breve pausa prima del lungo tiro successivo. Fessura. Solo una lunga, stupenda e interminabile fessura, una cavalcata verso il fatidico traverso: inizialmente lenta, un po’ accorta per poi scatenarsi oltre la metà fino alla sosta terminale. All’inizio si prospetta un’altra sfida: la fessura alterna tratti dove è leggermente svasata ad altri dove risulta più netta. Poi c’è il passo chiave quasi in traverso, dove la spaccatura è appena sufficiente per incastrare le dita. Sono a metà e la situazione friend non è rassicurante: ne ho lasciati una buona quantità alle mie spalle e, continuando a proteggermi con tale frequenza, resterò ben presto senza. Ma proprio quando si pensa di essere caduti in una trappola, Polimagò ti rialza offrendoti una fessura più netta e facile che mi porta senza problemi alla sosta. Ed ora il traverso. Luca parte, è il suo turno da capocordata. La sua traversata non ha storia: liquida la pratica senza difficoltà e allestisce la sosta su friend. È il turno di Cece e poi del sottoscritto. Con un po’ di concentrazione supero il primo tratto in discesa: la vena è abbastanza netta e la roccia offre anche qualche piccola graspolina. Raggiungo la metà e quindi la zona della salvezza: in corrispondenza dell’uscita ho la corda praticamente sulla verticale e quindi sull’ultimo passo delicato sono in una botte di ferro. Dietro di me ci sono Ema e Fabio: anche loro superano egregiamente la lunghezza e ora ci troviamo tutti e cinque su Luna.

L’euforia giganteggia sullo Scoglio: due vie uniche, una vicina all’altra, incedibilmente logiche e perfette. Restano solo tre tiri e poi saremo fuori dopo cinque ore di puro piacere condito con quel pizzico di incognita che da il tocco giusto ad ogni solita, insomma un fiume di sensazioni, emozioni e attimi che scolpiscono indelebilmente il ricordo di una salita molto più che un accozzaglia di parole.


Cavallo Goloso


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