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GANDIN – TORRIONE DEL CINQUANTENARIO

sabato 16 ottobre ‘21


All’attacco della Gandin qualcuno ha aperto la camera frigorifera e acceso il ventilatore ma d’altra parte il trio che ci ha raggiunti non ci ha dato altre possibilità se non quella di lasciare il sole che illumina il sentiero a fianco della parete per portarci in prima linea ed evitare di farci soffiare il posto. Così io e Cece ci troviamo col naso all’insù a spingere il dolomitico Matteo su per il primo tiro mentre le dita lentamente subiscono la metamorfosi in bastoncini Findus. L’amico, intanto, se la cava senza problemi (non che ce ne fosse il dubbio) tessendo lodi su lodi sulla magnificenza della linea e sulla solidità della roccia finchè finalmente si decide a recuperarci fuori dalla cella. Essendo poi lui il forestiero, non possiamo certo togliergli il piacere di proseguire a condurre la salita e così, nonostante i suoi tentativi di rifilarci le corde, cavallerescamente lo lasciamo in testa mentre noi ce ne stiamo beati a goderci finalmente il tepore del sole. Mi ritrovo quindi con la corda dall’alto a emulare le gesta del capocordata e di Cece sul passo chiave della seconda lunghezza solo che come cinese faccio proprio pietà e la copia non mi viene: la scusa è che il blocco è per nani (quindi io mi trovo con le ginocchia in bocca) e c’ho le dita fredde, la realtà è che sono la solita pippa caiana e ai fittoni luccicanti non riesco proprio a dire di no. Per il resto la via scorre senza particolari intoppi col Matteo che sembra un disco incantato sull’elogio della parete finchè raggiungiamo la campana di vetta e da qui due rapide doppie ci depositano alla base a pochi metri dalle vicine via di Tiziano e Fantasma delle Libertà. Guardo l’orologio e inizio a fare due conti: ce la faccio o non ce la faccio? Alla fine, mi rimetto le scarpette e provo a salire la prima delle due le cui prese, di primo acchito, mi sembrano ben più nette ed evidenti di quanto ricordassi dal mio primo approccio con questa porzione di parete; muovo i passi iniziali e le sirene si rivelano per quelle che sono: fameliche arpie o, per meglio dire, disegni bidimensionali di tacche e appoggi! Salvo le caviglie ma poi mi areno vittima della coda di paglia e della mia incapacità: allontanarmi troppo dal fittone è come farlo dal bordo della piscina, mi cago in mano e mi faccio bloccare. Solo che a quel punto è finita: riprovo e ancora l’allarme suona allo stesso punto. Codardo, cacasotto. Le prese sono sempre più piccole, inutili e io mi sento schiacciare dalla lontananza “siderale” tra una protezione e l’altra. Un’unica domanda mi ruota nella testa: e se dovessi cadere? Sono come un neofita, terrorizzato dalla forza di gravità. E quindi faccio ciò che meglio mi riesce dopo la staffata: alzo bandiera bianca e mi faccio calare. Ci prova Cece: arriva allo stesso punto e va avanti. Se ne frega del potenziale volo, perché è giusto così: non sarebbe nulla di trascendentale, lui non sgomma sulle mutande mentre sulle mie potrebbe crescere un bel prato rigoglioso. Passa anche il fittone successivo e poi quello seguente. Appoggi e appigli sono sempre disegnati, non sia mai che l’artista abbia scelto di darci dentro con lo scalpello, troppa fatica. Alla fine, il passo che mi ha respinto non era forse nemmeno il più duro o, al massimo, era pari ai successivi: se anche fossi passato, avrei fatto in tempo a maturare e marcire su quei 20 o 30 metri di tiro. Così Cece arriva in cima ma io gioco la scusa che devo essere a casa presto e me la squaglio il più velocemente possibile giù dal sentiero dei morti più rapido di quanto non sia stata la mia codardia.


Cavallo Goloso


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sabato 31 marzo ‘12


Il programma della giornata prevede un giro in Grignetta senza focalizzarsi su una guglia particolare nè, tanto meno, su una via anche se, questo è certo, niente Fisarmonica: mi ossessiona già a sufficienza di notte e non è il caso di aggiungere legna al fuoco tentando un’altra salita senza una buona dose di chiodi. Chiedo a Fabio l’ora del ritrovo e mi risponde: 7:30! Ovvio, è sempre quella l’ora, qualsiasi cosa si faccia e in qualsiasi posto si vada.

Ho l’idea di salire Gufo Triste al Cinquantenario, non so perché, non ho nemmeno in mente la relazione; Fabio rilancia invece con UNICEF dicendo che dovrebbe trattarsi di una via più caiana: è sufficiente quella parola, una rapida consultazione alla guida e la proposta è immediatamente accolta; dal canto suo, Enrico si fida totalmente delle nostre scelte e si accoda alla cordata; evidentemente ci conosce poco!

Prendiamo su la serie intera di friends fino al 3, dadi in abbondanza e anche un paio di chiodi e quindi ci avviamo verso il sentiero dei morti. Oramai il tradizionale carta-forbice-sasso è coperto da dita di polvere e ragnatele dimenticato in un recesso delle prime salite con Fabio e anche oggi rimane a riposare nel suo cantuccio: Fabio non mostra velleità alpinistiche preferendo restare in coda insieme a Enrico affidandomi così completamente la conduzione della cordata. Dal canto mio consegno ai due la macchina fotografica confidando in una valanga di immagini del sottoscritto ma alla fine mi ritroverò con quattro foto in croce e, soprattutto, con gli immancabili primi piani di Fabio!

Soffia un vento freddo da nord sull’ombrosa parete ma noi, da bravi caiani, ci infischiamo del meteo e mettiamo le mani sulla roccia gelata. Il primo tiro scorre senza infamia né gloria e poi iniziamo a traversare verso destra. Ci sono un paio di strapiombini da superare ma le dita sono intorpidite, come addormentate in una specie di coperta ghiacciata che le rende poco sensibili. In definitiva, devo afferrare il rinvio e tirarmi su in qualche modo: per un attimo ho quasi la tentazione di lasciare perdere e tornare indietro ma poi, insistendo e studiando un po’ il passo, raggiungo la sosta. La terza lunghezza è più tranquilla: le dita si sono scongelate e le difficoltà paiono più abbordabili così scalo senza patemi fino alla campana di vetta mentre raffiche di vento mi schiaffeggiano il viso e l’abbondante ferraglia appesa all’imbraco tintinna ad ogni movimento: non ho utilizzato alcuna protezione mobile perchè la richiodatura del 2002 ha colpito anche questa via mandando all’aria i nostri progetti caiani e rendendoci forse anche un po’ ridicoli con tutto quell’armamentario. Recupero i due soci e ci ridistribuiamo il materiale; un rinvio era già caduto dal secondo tiro e un cordino di kevlar aveva rischiato la stessa fine ma ora manca all’appello anche un secondo rinvio: questa via inizia a costarmi un po’ troppo!

Come da programma, ci caliamo e quindi risaliamo praticamente in conserva lo spigolo Marimonti raggiungendo rapidamente la sosta della calata. Siamo ad un bivio: o scendiamo verso il Rosalba e quindi andiamo a recuperare uno dei dispersi o ci caliamo nel cuore dell’avventura puntando alla zona della Mongolfiera e della Torre Costanza. L’indecisione regna sovrana: se da un lato lo stomaco brontola per la fame di chiodi, dall’altro la possibilità di recuperare un rinvio non mi fa poi così schifo e così, alla fine, optiamo per la seconda alternativa ritornando al punto di partenza dove fortunatamente ritrovo ciò che era stata perso.

Non è ancora la una, il vento ha smesso di soffiare e la sud del Cinquantenario è inondata dal sole. Lancio il sasso nello stagno e l’acqua appena si increspa e così in un attimo siamo nuovamente in parete: la Gandin è pur sempre una stupenda salita (oltretutto non l’avevo ancora relazionata!) e rapidamente ne raggiungiamo il secondo tiro. Mi piacerebbe salire in libera quell’ostico passaggio ma alla fine tiro il rinvio e mi ribalto sulla placca soprastante per poi raggiungere la sosta successiva da cui proseguo concatenando le due lunghezze e superando una cordata che ci precede. Restano altri due tiri su questo piccolo capolavoro di intuito e quindi possiamo nuovamente suonare la campana di vetta mentre il sole ci scalda abbondantemente allontanando il freddo della mattina e facendo risorgere la voglia di alpinismo e di montagna che, negli ultimi week end, sembrava essersi un po’ sopita.


Cavallo Goloso


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