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DIEDRO FEHRMANN – CAMPANILE BASSO

lunedì 21, martedì 22, mercoledì 23, giovedì 24, venerdì 25 agosto ‘17


Dopo la settimana a braccetto con la signora dalla grande falce, mi tocca una “riposante” vacanza in Brenta con il corso avanzato di alpinismo. Questo almeno è quanto penso alla vigilia della partenza: in fondo dovrei fare salite “facili” ma, soprattutto, non dovrò preoccuparmi per come riempire lo stomaco a colazione e cena, fatto non trascurabile dopo alcune cene a base di risotti liofilizzati! Ma il destino beffardo è sempre in agguato e proprio alla prima giornata operativa, la frittata si capovolge in modo inaspettato. Siamo 4 cordate a dirigerci verso la parete sud del Campanile Basso: io e Andrea punteremo con i nostri allievi allo spallone Graffer mentre il restante quartetto alla Maestri. Stiamo salendo senza problemi fino a quando ci scontriamo contro la scorbutica fisicità della quarta lunghezza che termina con una sosta appesa che non starebbe male in un libro di Stephen King e che rappresenta l’anticamera per l’enigmatico tiro successivo. A metà lunghezza mi accorgo di essere in un labirinto di cui dispongo una mappa sbiadita: trovo la cengia ma troppo in basso rispetto alla relazione mentre in alto c’è la fessura gialla che però sembra essere sulla luna. Ho un grosso punto di domanda sopra la testa e allora decido di fermarmi per cercare di dipanare la matassa ma quando riparto la situazione è ancora più ingarbugliata: non solo non abbiamo dissolto la nebbia ma a questa si aggiunge l’altro Andrea, capocordata alla Maestri, che sbuca proprio sulla fatidica fessura gialla. Precipito nello sconforto più totale: gran bel figurone, l’immenso Fraclimb si perde dopo una manciata di tiri! A questo punto però non ho altra possibilità se non puntare verso l’alto finchè, arrivato a portata di voce, scopro che è Andrea ad aver perso la bussola finendo così sulla nostra linea! A quel punto, non ci resta che fare il verso agli operai appollaiati sulla trave del cantiere del Rockfeller Center aspettando l’arrivo del sole e che si smaltisca la coda sopra le nostre teste. Per il resto la salita scorre senza intoppi ma comunque troppo lentamente rispetto l’orologio-Bolt tanto che riusciamo a rimettere le gambe sotto il tavolo che sono quasi le 9 di sera! Cosü, davanti ad un piatto fumante, si chiude la prima giornata che nel complesso riporta un bollettino di guerra con il 10% di feriti tra cui spicca un allievo con braccio rotto (e relativo recupero in elicottero) quindi un’istruttrice lapidata da una scarica e infine un’allieva con caviglia slogata! Se però fosse stata data carta bianca ai vivandieri, probabilmente avremmo finito con un bilancio ben più grave dato che le ultime cordate rientrano ben oltre le 10!

Per evitare quindi di decimare gli allievi e scoprire le doti da lanciatore di coltelli del cuoco, martedì optiamo per un profilo più basso anche per assecondare l’ammutinamento stile Bounty della ciurma che preferisce continuare nella sonora ronfata piuttosto che fiondarsi sull’abbondante colazione. Ci dirigiamo allora verso il pilastro Irene e, appurato che la Miryam si trova da un’altra parte, rivolgo le mie attenzioni a Solomente di cui conosco vagamente il tracciato lungo l’evidente diedro centrale e la difficoltà che tocca il limite umano! Inizio allora a scalare guardingo, cercando di anticipare l’inculata del passo duro un po’ come si attende quella della saponetta nella doccia ma, a parte una regolare fessura da incastro, sulla prima lunghezza non mi avvicino nemmeno lontanamente al limite della scala Welzenbach. La sorpresa sarà dopo? Forse dove il diedro si impenna? Oppure lungo la netta spaccatura a sinistra? Arrivo alla base del presunto tratto criptico, lancio l’allarme verso chi mi assicura ma con un paio di movimenti non particolarmente impegnativi risolvo il salto: saremo si e no sul V! Siccome quindi del fantomatico VI superiore non troviamo traccia, la Paola, evidentemente alla caccia del passo al limite umano, individua il duro in un grosso pezzo di roccia mobile: lo afferra ma il cassetto del comodino le rimane in mano e quindi, indecisa se metterselo in tasca o giocare al lancio del dolmen, decide di condividere la situazione con Federico passandogli il macigno e domandandogli: “scusa, me lo terresti un attimo?”. Probabilmente il VI consiste proprio nello scaricare il barile al compagno e vedere come se la cava a fare il giocoliere! In realtà tutto diventa più chiaro quando scopriamo che il ragazzo del rifugio ha aperto la via in solitaria scegliendo una linea tanto logica quanto estetica con possibili incastri di mano importati dal granito.

Mercoledì posso chiudere i conti con la Fehrmann. Memori dell’esperienza della prima giornata, evitiamo di trovarci in troppe cordate su quella porzione di parete anche perchè le previsioni promettono acqua nel tardo pomeriggio. Sono però convito di riuscire a liquidare gli 11 tiri in un tempo più che ragionevole per evitare una doccia fresca ma comunque piö confortevole della cascata gelata che ci offre il bagno del rifugio. Così iniziamo a seguire l’estetica e evidente linea rendendoci rapidamente conto che l’indicazione “segui l’unto” sarebbe perfettamente azzeccata: se la roccia non è patinata, evidentemente si è sulla strada sbagliata! Al facile indizio si aggiunge poi, verso metà percorso, un caratteristico odore sintomo del passaggio di qualche incontinente: devo essere finito nelle vicinanze di un pisciatoio pubblico. Mi alzo di pochi metri e l’olezzo diventa nauseabondo: ora devo stare attento a non finire nel fondo della fessura dove si trova una latrina di dimensioni considerevoli. Evidentemente chi ci ha preceduto deve aver mangiato pesante tanto da sgommare parte della faccia della fenditura nonché riempirne il fondo. Sono però fortunato perchè Emma mi cede anche la lunghezza seguente e così le lascio assaporare il profumo del Chanel n°5 di cui si gode in sosta. Poi allo Stradone Provinciale ci lasciamo convincere dalle subdole nuvole a lasciare perdere la vetta per muovere con certa rapidità le chiappe verso il rifugio mentre le simpatiche, con la stessa rapidità con cui sono arrivate, se la svignano lasciando lo spazio al cielo azzurro.

Il giorno seguente cambio scenario d’azione e mi dirigo verso il decantato Tuckett. Appena arrivo di fronte alla vetrata del rifugio, mi è subito chiaro perchè alcuni allievi avrebbero volentieri piazzato le tende da queste parti: la colazione è ben più ricca e interessante della classica che ci viene servita ogni mattina. Sbavo un po’ contro il vetro senza incontrare la pietà dei commensali e così riprendo a salire verso l’Alimonta Vidi con la scusa che sono qui per scalare e non per riempire lo stomaco. La prima lunghezza sembra un monumento della natura e, come di solito capita in tali situazioni, anche un bel palo nel deretano. Davanti a noi si alza infatti un muro verticale e compatto solcato da una fessura all’apparenza scorbutica: mi avvicino quindi al passaggio sperando di riuscire a superarlo in libera ma al contempo rincuorato dai due chiodoni che chiamano l’A0. In realtà il muro grigio mi regala una sequenza di prese che insieme alla mia abilità da free climber dei poveri mi permette di superare il passaggio con alcuni movimenti (oserei dire) d’antologia. Peccato solo che il resto della via sia di tutt’altre caratteristiche! Intervallando infatti passi su roccia tenuta insieme con lo scotch ad altri di migliore qualità raggiungiamo la cima del Castelletto Inferiore non dopo aver passato le litanie di tutti i santi sulla pancia strapiombante della sesta lunghezza. Quando però si dice che la via termina con il ritorno al rifugio, non sempre si sbaglia e, guarda caso, questa volta ci troviamo a ravanare proprio dove non ce lo saremmo aspettato. Terminata infatti la prima calata, iniziamo a seguire la traccia che per sfasciumi ci conduce verso un’altra doppia che ci deposita nel nulla più assoluto, una specie di deserto di massi ciclopici e ghiaie che, verso sinistra, portano al salto roccioso sopra il Tuckett mentre nell’altra direzione ad un ulteriore distesa di rocce oltre la quale non è ben chiaro se sia possibile raggiungere il sentiero che passa poco sotto. Quest’ultima però sembra anche essere la soluzione migliore e così iniziamo a scavalcare un pietrone dietro l’altro finchè il Castelletto, mosso evidentemente a pietà o stufo di sopportare l’olezzo che emaniamo, ci mostra la traccia per raggiungere il sentiero. Risolto quindi l’inconveniente e non volendo poi scontrarci con l’ira funesta del “brentide” cuoco del rifugio, il miraggio di una fetta di torta al mitico Tuckett rimane però tale e così ci avviamo con gli stomaci brontolanti prima giù e poi su verso la nostra casa della settimana.

Arriva il venerdì, l’ultimo giorno per la lotta di trincea e io sono ancora diretto al Campanile Basso. Questa volta punto allo spigolo Fox o alla Preuss: in funzione dell’allievo e della coda in macelleria, decideremo se comprare il salmone o il salame. All’attacco della normale c’è già una cordata ma noi, con mossa astuta e poco elegante, passiamo sopra le loro teste e andiamo a legarci sul risalto soprastante. Il capocordata rivale inizia allora a salire restituendoci il favore. Forse non ha capito con chi ha a che fare: metto il turbo e sono di nuovo alle sue calcagne. Sulla fessura prima della paretina Pooli ho facile gioco: apro il gas e sono nuovamente in testa. La cordata rivale passa allora nelle retrovie mentre inizio a seguire il marmo della chiesa sul primo tratto impegnativo della normale per poi continuare lungo il camino Scotoni fino al grosso cengione dello Stradone e quindi all’attacco della Preuss. La roccia è semplicemente spaziale: compatta e apparentemente senza punti deboli tanto da lasciare esterrefatti per la follia del tedesco. Mentre risalgo, non posso che pensare al Preuss arrampicare su per la parete, superare un delicato passo in traverso e poi il successivo strapiombino senza sapere dove lo avrebbe portato la sua cavalcata. Poi la campana suona e noi ci tuffiamo lungo le doppie; ho una mezza idea di ritornare su per il Fox ma troviamo la coda degli amici che hanno salito la Ferhmann, incrodati per una cordata che devono spingere verso l’alto così abbandono ogni velleità accontentandomi di una fetta di torta al Pedrotti per recuperare la giacca di Matteo e, ironia della sorte, finendo per prendere una piovuta non molto prima di rientrare al Brentei.


Cavallo Goloso


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lunedì 31 agosto, martedì 01 settembre ‘15


Torno indietro con la coda tra le gambe: la testa non c’è e, alla fine, preferisco abbandonare l’impresa con un nulla di fatto. Non so se recriminare sulla scelta oppure accettarla come un attimo di ragionevole raziocinio: non ho alcun rimpianto per quella calata in quelle condizioni mentali anche se il pensiero del diedro rimane un pungolo fisso.

Prendere una settimana di ferie la prima di settembre non è una buona idea visto che tutti sono presi dal riavviare la “macchina produttiva” ma, d’altra parte, a suo tempo questa era sembrata la soluzione migliore per riuscire ad incrociarmi con le ferie di Micol col risultato che ora il fremito del caianare rischia di starsene a bocca asciutta. La soluzione? Tentare l’impresa solitaria! Quando però lascio Como una nuvola di ripensamenti e dubbi stazioni sopra la mia testa ma, nonostante tutto, mi accollo i chilometri che mi separano da Madonna di Campiglio convincendomi che domani potrò valutare il da farsi; in fondo sono certo che se non dovessi partire, sarei poi capace di recriminare sulla scelta codarda! Così, raggiunta la località dolomitica, mi carico il saccone con l’occorrente e, scavando un solco nell’asfalto, mi avvio verso il rifugio Vallesinella; ovviamente il sano principio del risparmio mi impedisce di servirmi del comodo servizio navetta perchè, in fondo, sfacchinare con una ventina di chili sulle spalle vale certo il risparmio di qualche euro! Riesco comunque a liberarmi del lungo nastro d’asfalto in un tempo più che accettabile così da potermi finalmente dedicare alla sfilata tra gli sguardi stupiti degli escursionisti. Il mio ingresso in un regno caiano non può essere al contempo più silenzioso e glorioso ma, nonostante l’incantevole panorama, la mia priorità rimane quella di disfarmi dell’abnorme peso che mi schiaccia sul sentiero. Abbandonato quindi il saccone e tornato leggero come una piuma, non e riesco a frenare la curiosità andando a dare un’occhiata alla cappellina dietro il rifugio: mai idea fu più infausta! Il piccolo santuario è ricolmo di lapidi a ricordo di persone passate al mondo di là in montagna: non proprio la spinta migliore per l’impresa che mi accingo ad iniziare! Le nuvole sopra la mia testa si addensano sempre di più ma ancora una volta rimando la decisione finale all’indomani mentre nel frattempo individuo una possibile alternativa caso mai all’attacco dovessi farmela sotto.

Consumato l’ennesimo risotto, mi infilo nel sacco a pelo sprofondando rapidamente tra le braccia di Mprfeo quando sono appena le 20:30 col risultato che verso le 5 ho già gli occhi sbarrati ad ammirare le stelle. Sistemato il materiale da bivacco, inizio così la lenta marcia verso il mio destino, senza sapere se quello sarà il sentiero per il patibolo o per la gloria. Poco sotto l’attacco, mentre sto completando di trasformarmi in un albero di Natale, vengo superato da una coppia diretta alla mia stessa meta: l’inattesa compagnia mi infonde una certa fiducia anche se un velo di dubbio continua ad aleggiare in lontananza. Poi, finalmente, metto le mani sulla roccia: i primi facili metri dovrebbero servirmi per capire se la testa c’è oppure no; sono solo con la roccia: salgo rapido ma il bottone della determinazione non scatta. Raggiungo il primo chiodo e mi assicuro iniziando così quella tecnica del sali-scendi che dovrà caratterizzare tutta la scalata. Quando concludo la prima lunghezza, le braccia iniziano già a farsi sentire mentre le nubi aumentano il loro spessore. Vado comunque ancora avanti: da un lato non posso dire di non essere tranquillo, so di poter padroneggiare le difficoltà ma l’idea di non avere alcuna possibilità d’errore è un martello che batte inesorabilmente. La torre si erge sopra il mio sguardo: sarò capace di affrontare tutta quella sequenza di tiri? E poi, quanti ne ho effettivamente davanti? Forse 10? Maledizione a chi ha scritto che la via potrebbe essere anche di VI e maledizione a quella cappella! La tensione è troppo alta: recupero il materiale e decido di farla finita con una lunga doppia. Quando tocco terra è come se mi sentissi più leggero, liberato da un fardello insostenibile non mi resta solo che recuperare le corde e tornamene dalla strada da cui sono venuto. Ma le maledette non vengono, incastrate su là in alto in qualche infida spaccatura. La situazione però non è tragica, primo perchè sono comodamente a terra e, alla peggio, la cosa mi costerà il prezzo di due corde nuove; secondo, due cordate stanno salendo verso la sosta e quindi mi basterà attendere che mi liberino la doppia per poi riprendere la strada di casa libero da un’apprensione che si era fatta oramai insostenibile.


Cavallo Goloso


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