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VIA NORMALE – DOME DE NEIGE DES ECRINS

sabato 14, domenica 15 giugno ‘25


Bisogna dare atto che il Walter ha tirato fuori un bel coniglio dal cilindro che, probabilmente, se avessimo stufato avrebbe rappresentato un bel balzo in avanti rispetto la cena! Di contro, l’unico neo è la partenza in perfetta tradizione caiana, soprattutto se a fare l’NCC deve pensarci il sottoscritto. Così attraverso l’altra metà della pianura padana (spesso, per lavoro, mi trovo a dirigermi nella direzione opposta), supero il Monginevro e arrivo a Briancon. Per un attimo sono tentato dal fare una “breve” deviazione e andare a fare due tiri a Ceuse ma con scarponi e picche non andrei molto in alto e, anche se fosse, dovrei poi vedermela con l’orda di FF pronta a farmela pagare per aver rovinato quella che si dice essere la più bella falesia al mondo. Così seguo il navigatore, mi infilo nella valle che, sebbene le somiglianze siano quasi nulle, mi fa venire in mente Yosemite e arrivo al parcheggio. Da lì il ghiacciaio se ne sta poco più in alto (almeno così mi sembra) a sonnecchiare con vista sul fondo valle e io mi accodo alla fiumana raggiungendo il Refuge du Glacier Blanc senza quasi accorgermene e quindi, poco oltre, la lingua ghiacciata. A quel punto procedo con i miei allievi che sembrano morsi da una tarantola tanto da farmi pensare che si potrebbe quasi tentare una salita alla vetta in giornata lasciando agli altri il piacere della sveglia del giorno successivo. Poi però rinsavisco se non altro perchè l’orario e la pala della nostra montagna, ben lontana dalle sembianze dei soliti panettoni nevosi tipici obiettivi dei corsi caiani, consigliano di starsene buoni oltre al fatto che non sia poi cosü improbabile un ammutinamento delle mie gambe. Così mi metto tranquillo e mi accontento della rampa finale che porta al rifugio. È quindi dopo poche ore che arriva l’altro neo del fine settimana, prima sotto forma di acqua colorata al gusto di curry che probabilmente nella testa dello chef sarebbe dovuta suonare come un brodo d’entrèe ma che, in realtà, ha il solo potenziale effetto di di far uscire i commensali dalla sala pranzo. Siccome però chi ben comincia è a metà dell’opera, la nouvelle cousine prosegue poi con dei pizzoccheri destrutturati da cucina molecolare di cui però si sono perse le tracce di formaggio, burro, coste e patate. Del piatto restano quindi solo dei quadrati di pasta dal sapore così delicato da rasentare il nulla che però, se accompagnati da un po’ di carne, non risultano poi tanto malvagi. Certo un po’ del coniglio del Walter avrebbe sollevato le sorti della cena ma, come mi piace sottolineare, è bene guardare il lato positivo: se da un lato la nouvelle cousine lascia i commensali con la bocca asciutta (e affamata), il mio stomaco esulta per il quantitativo di cibo che gli si rovescia dentro! Poi arriva il momento della levataccia mattutina con una colazione che rimane negli standard rasentando questa volta il livello carestia e poi, in teoria, si dovrebbe partire. E invece no! Dopo esserci fatti terrorizzare dalle previsioni del rifugista, esserci fatti bagnare da 4 o 5 gocce (probabilmente l’avanzo del “brodo” della sera prima) e impaurire da uno strato di nuvole che rasenta le vette circostanti (probabilmente il burro fuso dei pizzoccheri destrutturati), iniziamo a guardarci in faccia chiedendoci cosa fare e finendo per perdere una buona mezz’oretta che avrei saputo certamente impiegare meglio (no, non davanti alla colazione ma piuttosto a fare il ripieno del sacco letto). Così quando entro in campo c’ho la scimmia. Il risultato è che devo scaricarmi e inizio a testare le capacità da passisti dei miei allievi arrivando all’inizio del pendio quasi in testa alle cordate. La strategia però paga perchè mano a mano che maciniamo metri lungo la parete diventa sempre più evidente che la vetta dovremmo mettercela in tasca. O forse no? Più ci alziamo e più la tirata del rifugista sembra realizzarsi: è un po’ come essere in certe foto himalayane con la cima coperta da un bel cappello dentro cui ci stiamo infilando. Durante la traversata sotto la parete rocciosa della Barre bisognerebbe accendere gli antinebbia, poi superiamo la terminale e ci si mette anche il vento a battezzare i giovani caiani. La cima del Dome è subito sopra, un panettone che in queste condizioni potrebbe essere anche il Boletto. Tocchiamo il punto più alto, giriamo i tacchi e iniziamo a scendere, manco fossimo stati catapultati anche noi sulla catena asiatica ma, viste le condizioni, preferisco levarmi di torno quanto prima e lasciare a dopo i “festeggiamenti” per la cima raggiunta.


Cavallo Goloso


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