BOLETTO E TERZ'ALPE – TRIANGOLO LARIANO      

sabato 30 aprile ‘16


Mi sento il neofita di turno, l’occasionale ciclista della domenica che, per provare emozioni diverse, sveste gli abituali abiti del caiano anche se forse tra mountainbike e caianesimo ci sono molti più punti di contatto di quanto si possa pensare. Sono un po’ come l’escursionista saltuario, messo insieme con pezzi di fortuna: bici del secolo scorso, abbigliamento fintamente tecnico ma raffazzonato da altre attività e caschetto che affonda la sua età nella notte dei tempi. Alla fine però, quello che conta veramente, è il motore che si ha sotto!

Risalgo la ripida salita che da Como porta a Brunate: la prendo con calma e costanza per evitare poi di collassare e mandare a ramengo i piani. Un ciclista mi supera con andatura ciondolante ma doppia della mia ma è sulla bici da corsa: il confronto non vale. Continuo a salire fino ad inquadrare un altro con la mountainbike. Mi avvicino: pedalo fluido, costante. Ce l’ho nell’occhio del puntatore. Lo affianco, lo guardo e lo supero: beh, forse la sua età potrebbe essere stata un aiuto decisivo nel passaggio!

Poco sotto il faro ho altre due mountainbike da passare ma questa volta non ci sono alibi d’età: le supero e basta. Quello che conta, appunto, è il motore e non la carrozzeria!

Passo le baite e salgo su fino in vetta al Boletto; a questo punto devo solo togliere un po’ di ruggine e involarmi sulla prima discesa. Forse sono un po’ troppo ingessato ma alla fine riesco a portare giù la due ruote senza grossi problemi per poi infilarmi in direzione del bosco dei faggi. Spingo sui pedali e saetto tra le piante ma proprio non riesco ad evitare di farmi raggiungere. Accosto e faccio passare: decisamente poco sportivo, direi anche inaccettabile! Non posso certo competere con una bici assistita! Che poi, che senso ha montare un piccolo motore su una mountainbike? Se si vuol fare attività sportiva, ogni aiuto esterno è semplicemente inaccettabile e falsario. La soluzione? Allenamento! Sarò pure talebano ma è un po’ come il caianesimo: non sei capace? Hai paura? Allora torni indietro. La pappa pronta è troppo comoda!

A parte i miei deliri, per il resto tutto fila liscia. Provo anche a salire al Bolettone ma quando mi accorgo del tempo che butterei via, giro il mezzo e torno a pedalare verso il Palanzone. Incrocio il falsario bici-motorizzato che viene in senso opposto mentre arranco sui brevi ma intensi strappi che mi portano alla bocchetta di Palanzo. Da qui inizia l’avventura: prendo un sentiero che costeggia il Palanzone tenendolo sulla sinistra in impaziente attesa di imboccare la discesa che mi porterà ad Asso. Finalmente, dopo un lungo traverso, anche questa arriva: un sentiero non particolarmente largo costellato di sassi ma, fortunatamente, nemmeno troppo ripido. Freni a disco? Macchè: l’unico modo per fermarmi sarà la coppia di V-brake. Se non altro sull’anteriore sono tecnologico: la forcella ammortizzata sarà l’unico optional che mi aiuterà a superare la sequenza di ostacoli. Così mi butto verso valle riuscendo a fare rotolare omogeneamente il mezzo verso il basso o, almeno, questo è quello che mi sembra! Passa un po’ di tempo e molti sballottamenti tanto che, dall’avantreno, inizio a sentire un rumore sordo simile a qualcosa che si sta rompendo. Per un po’ faccio finta di nulla; do un occhio alla forcella ma quella sembra intatta. Continuo a scendere pensando a volte di poter rischiare di perdere la ruota e finire bocconi al suolo. L’unica protezione che indosso è il casco. Sarebbe un bel ruzzolo! A un certo punto il toc-toc diventa insopportabile. Mi fermo, guardo meglio, questa volta intenzionato a capire definitivamente quale sia la causa del rumore. Osservo la ruota, poi il perno che la collega alla forcella e la tiene unita alla bici o forse dovei dire “che dovrebbe tenerla unita”: la chiusura si è infatti allentata! Praticamente ho fatto quasi tutta la discesa con l’asse che è rimasto nella sua sede solo grazie a Newton! Fortuna che non sono un maniaco di salti! Risolto il problema e ringraziata la buona stella, riprendo a scendere sempre tra i sassi fino ad Asso per poi proseguire verso Canzo. L’idea è quella di salire ai Corni. Probabilmente dovrò spallare! Se non è con gli sci, deve esserlo con la bici! Salgo alla fonte Gaium e, finchè sono sull’asfalto, tutto fila liscio. Imbocco la strada sterrata su un maledetto e insopportabile ciottolato. La mulattiera si inerpica senza pietà e alla fine mi arrendo: scendo e inizio a spingere. Al prim’alpe vorrei quasi fermarmi, poi decido di salire al terz’alpe dove decreto la fine della scampagnata. Ma ho ancora la maledetta idea di scendere dal sentiero dello spirito del bosco: ciclisticamente parlando, un’idea balorda. Continuo a scendere e salire dal mezzo finchè finalmente torno sulla mulattiera: ora è il momento di sballottolare prima di tornare a pedalare sul liscio nastro d’asfalto e tornare quindi verso casa.


Cavallo Goloso


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