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BIVACCO MANZI E PASSO DEL CAMERACCIO – VAL MASINO

sabato 09 e domenica 10 luglio ‘11


Caiani separati uguale nessuna caianata. Beh l’equazione, per quanto mi riguarda, potrebbe anche essersi verificata. Diciamo che per una volta questo week end non mi ha visto tirare chiodi (spit si, ma solo a Carate), staffare o brontolare per le mie incapacità. Anzi, direi che tutto sommato ho assaporato il gusto dell’andare in montagna senza patemi pur non lasciandomi perdere il fremito di un pizzico d’avventura.

La programmazione di questo fine settimana affonda le sue radici al momento in cui, un paio di settimane fa, mio fratello, l’uomo dai muscoli oramai dormienti e forse atrofizzati, mi chiede se ho intenzione di andare a scalare in Valmasino e precisamente in val Torrone perchè vorrebbe dormire al bivacco per poi salire al passo di Cameraccio e scendere nell’omonima valle. Mi preoccupo perchè le catene da neve della mia auto sono fuori uso ma, sapendo anche che il binomio intenzione-azione non sempre si completa, mi metto il cuore in pace e attendo l’evolversi degli eventi. E gli eventi crescono, si sviluppano e alla fine all’intenzione segue l’azione quando sembrano collimare tutte (o quasi) le condizioni che mi porteranno a passare un insolito week end con il mio fratellino.

E siccome l’ombra di una possibile salita alpinistica si volatilizza subito nel nulla, al mattino vado a fare due tiri con Micol a Carate dove posso sfogare i miei istinti primordiali di caiano: tirare il tirabile senza distinzione tra chiodo o spit, l’importante è azzerare! L’unica conseguenza è legata all’apprensione di Davide (mio fratello) sul fatto che così partiremo tardi rischiando di arrivare a notte inoltrata al bivacco. Alla peggio useremo la frontale.

Passiamo a prendere Sergio e poi siamo sulla strada per la Valmasino. I due sfaticati non si lasciano perdere l’occasione di guadagnare qualche metro di dislivello utilizzando il pulmino mentre il pitocco, con la scusa che non è etico facilitarsi la vita, preferisce posteggiare l’auto nell’ultimo parcheggio libero di San Martino e salire a piedi dal paese. Ci ritroviamo al bivio con l’Allievi: l’intenzione del morto che cammina, è quella di raggiungere il rifugio per poi divallare in val Torrone e quindi risalire al bivacco. L’idea mi pare un po’ balzana visto che sono le 5 passate e così è presto scartata prediligendo la salita più breve. Questo significherà tornare, non si sa bene quando, a fare quell’unico passo che costituisce l’ultimo tassello che manca a Davide per completare il sentiero Roma, tragitto effettuato a spizzichi e bocconi in innumerevoli estati.

La salita è lunga, ripida e maledettamente costante ma almeno non sono schiacciato dall’indicibile peso dello zaino e quindi salgo leggiadro e spensierato guardandomi intorno e fantasticando sulle pareti che si aprono davanti ai miei occhi. Lo sfaticato e Sergio mi precedono salendo tranquillamente e con costanza finchè finalmente scorgiamo il bivacco. Lui è là, indifferente, che guarda la vallata dalla sommità della cresta: è come una divinità classica che non si preoccupa delle pene di noi mortali che soffriamo e sbuffiamo mentre superiamo l’ultima rampa.

Troviamo già quattro occupanti: due alpinisti dormono beati e una coppia si gode gli ultimi momenti di luce mentre per noi è giunto l’atteso momento di svuotare i sacchi per riempire quello dello stomaco. La porzione di riso è scarsa: quattro chicchi gialli in croce si guardano all’interno dell’infinita distesa del piatto. Tra di loro ulula il vento del nulla e lo stomaco brontola chiedendomi se lo stia prendendo per i fondelli. E allora gli mando giù un’insalatissima e un bel cacciatorino ma quello continua a maledirmi. Per fortuna che il compratore delle cibarie ci aveva dato dentro con gli acquisti per poi sentirsi redarguire dal sottoscritto che gli ricordava che saremmo stati via solo due giorni. Morale della favola, alla fine della cena, se avessi usato lo stomaco per il gioco “sacco pieno, sacco vuoto” lui sarebbe stato sempre afflosciato e spiattellato a terra.

La sveglia è preceduta dall’irritante belare di una pecora ma preferiamo continuare a girarci nel letto piuttosto che uscire e scaraventargli contro una valanga di pietre almeno finchè non arriva il momento di abbandonare il comodo giaciglio mentre il dormiglione starebbe volentieri tra le coperte finchè, usando delicatamente il piede di porco, riusciamo a smuoverlo. D’altro canto la lauta e gustosa colazione è un ottima scusa per salutare le comodità del materasso mentre il curioso , vista la mia natura da cavalletta, si domanda come possa normalmente non mangiare praticamente nulla e la risposta è tanto semplice quanto insulsa: mangio perchè c’è abbondanza di libagioni!

E poi finalmente partiamo, lasciando per ultimi il bivacco mentre già i due alpinisti sono sotto il naso della Taldo e la coppia è già sparita. Il sentiero sale ripido tra la pietraia finchè raggiungiamo le lingue nevose dove veniamo avvolti dalle nuvole che ci fanno precipitare nel regno del nulla. Non abbiamo punti di riferimento e, a naso, ci muoviamo in questo regno del bianco riuscendo comunque a intuire la direzione giusta finchè ci appaiono le catene che scendono dal passo mentre la nebbia si dirada. Le cime intorno a noi sono ancora avvolte dalla grigia coperta e così resteranno per tutto il giorno.

La discesa in val Cameraccio, almeno all’inizio, è un vero piacere mentre scivolo sulla neve inzuppando i calzettoni. Poi abbandoniamo il sentiero Roma e ci lanciamo verso valle saltellando tra una pietra e l’altra finchè l’affamato chiede di fermarsi per il pranzo. Si riapre il pozzo senza fondo e razzio tutto quello che abbiamo portato: non so più quand’è stata l’ultima volta che ho mangiato così abbondantemente in un week end montanaro!

Riprendiamo a scendere per gande non avendo imboccato il sentiero giusto finchè, al di là del torrente, occhio di falco scorge gli attesi e salvifici bolli bianchi e rossi che decretano la fine dell’avventura nell’avventura. Ora la discesa verso valle diventa rapida anche se il paraplegico inizia a lamentare dolori alle ginocchia e anche Sergio ha qualche dolorino ai piedi. E poi ci si mette pure la valle che ci saluta inzuppandoci per benino; povera signorina, il suo nasino così altezzoso non avrebbe potuto sopportare il tanfo di tre caproni caracollati dai monti a insudiciare i suoi lindi prati! Le rotule del fratello cantano vittoria mentre il caiano che c’è in me inorridisce quando salgo sul pulmino ma in fondo è felice e appagato per l’insolito e divertente week end col morto.


Cavallo Goloso


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