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ALPE DELEGUAGGIO – VALSASSINA

domenica 23 maggio ‘21


Penso di essere furbo e scaltro ma la Jo alla fine mi frega: dopo un’attenta analisi degli elementi basilari per pianificare un’escursione, quasi come se fosse per me normale verificare a tavolino tutte le informazioni e soppesarle per organizzare al meglio la gita, arrivo alla conclusione che la partenza da casa verso le 8:30 sia il giusto compromesso. Infatti, nonostante faccia partire la hit degli Stoviglia-Rock-Band con assolo di forchette e coltelli all’uscita dalla lavastovigle, niente, dall’altra parte della magione non succede nulla. Forse nell’ala NE non arriva il suono acuto del rollio di coperchi? In effetti in un castello da 45 metri quadri può anche essere. Così non mi resta che la forza bruta: afferrarle la gamba, sfilarla al gelo della stanza e portare la Jo in posizione eretta. Poi si avvia e noi partiamo.

Certi posti nel lecchese sono vicini ma maledettamente distanti. Uno di questi è il Cainallo (è forse più un’impresa sopprimere i conati da mal d’auto che raggiungere la base del Cavallo o dei Carbonari) e l’altro è Premana (altro posto dove il vomito da viaggio è dietro l’angolo). Il paese poi sembra un arroccamento difensivo uscito dalle mani un modellista per presepi, abbarbicato su un pendio sul quale non starebbe fermo nessun sasso e con la montagna che sembra ribaltarglisi sopra come l’onda sul surfista intento a completare un “tube riding”. Risaliamo gli ultimi tornanti e poi ci mettiamo alla caccia del parcheggio e quindi del sentiero d’accesso girovagando un po’ giù e un po’ su per le strade del paese, giusto per aumentare un poco il dislivello finale. D’altra parte mi sono fissato a seguire pedissequamente la guida e le sue indicazioni sull’imbocco della mulattiera e solo quando è palese che qualcosa non torni, mi decido ad ascolare la Jo e la sua idea che il sentiero parta proprio di fronte alla Camp. Così finalmente riusciamo ad addentrarci nella valle del Varroncello.

Poco prima di raggiungere la località Zük siamo investiti da un intenso odore di aceto: ci guardiamo intorno ma non scorgiamo nessuno. L’unica traccia di semi umano, è la statuetta della Madonna che ci osserva all’interno della sua edicola ma non ho mai sentito che piangesse aceto o che possa condire l’insalata. Così ce ne andiamo con l’odore sotto il naso e iniziamo a lottare contro i gradini che salgono verso Gianèl alta. Stiamo camminando già da un po’ quando una prua si fa largo tra gli alberi. La paretina strapiombante mi fa l’occhiolino: la guardo affascinato ma poi sono sicuro che non mi alzerei da terra di molto e, se anche dovessi farlo, non riuscirei a risolvere il boulder senza il rischio di spezzarmi l’osso del collo e rotolare giù verso il torrente; così faccio come Ulisse: ascolto le sirene ma non mi lascio intortare dal loro canto.

Intanto l’orologio corre più di quanto non faccia il sentiero e, poco sotto l’alpe di Deleguaggio, approfittanso di una coppia di panchine di sasso che sembrano predisposte per gustare polenta e salsiccia, sforniamo il nostro ben di dio: pane e formaggio, carote e pomodorini perchè di rider nemmeno l’ombra. Poi ci aspetta l’ultima rampa dove la Jo sfreccia verso l’alto e un gruppo di ragazzi verso il basso insieme ai pezzi di un letto smontato: il Legnone intanto se ne sta lassù immobile e indifferente alle nostre spalle tenendo al fresco il suo testone triangolare sotto la massa nevosa finchè, finalmente, compaiono le baite dell’alpe. Sembrano una massa di funghi distesa lungo l’unico pianoro che taglia il ripido pendio: ce le troviamo davanti all’improvviso, una attaccata all’altra come volessero difendersi dall’agguato del “füngiatt”. Noi però non ci fidiamo, passiamo tra le costruzioni e ce la filiamo verso valle un po’ perchè non abbiamo il cestino per la raccolta e un po’ perchè l’olezzo del fuoco clandestino è un puzzo nero, denso e insopportabile. Allucinante che ci sia chi si sbarazzi dei propri rifiuti con un allegro tossico focherello!


Cavallo Goloso


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