MONTE DI SALMURANO – VAL GEROLA
sabato 14 gennaio ’23
Potrebbe essere la resa dei conti, la differenza tra la vita e la morte dello scialpinismo. Così salgo sul ring delle responsabilità a farmi prendere a cazzotti dall’ignoto e, quando questo ha finito, dal compagno con la maglietta “dubbi”. Eppure il mio cervello, allenatore da strapazzo con l’abilità nell’illudermi che la soluzione sia sempre semplice e che comunque “poi si vedrà”, mi aveva tranquillizzato: risalite le piste, vi fate una bella sciata e vedrai che tutto filerà liscio. Solo che quello non ha tenuto conto dell’imprevisto, il tranello di cui l’ignoto fa uso ed abuso: l’apertura degli impianti! Mi arrovello a cercare informazioni su internet ma, chissà perché, a volte cercare qualcosa sulla rete è come pretendere di individuare il fatidico ago nel pagliaio. Così provo col caro e vecchio telefono ma dall’altro lato mi risponde solo un laconico TUUUUU. Mi metto davanti allo specchio e mi convinco che presto i nodi verranno al pettine. Ora è solo necessario indorare la pillola e scaricare la colpa su qualcun altro: “Hanno aperto gli impianti… Non possiamo risalire le piste… C’è una gita semplice…”. Forse sono parole che servono a convincere più il sottoscritto che le due Laura ma tantè. Almeno all’inizio la fortuna sembra aiutarmi, perché questa non è vero che aiuti gli audaci ma, piuttosto, chi va in giro a casaccio che non è detto sia sempre la stessa cosa. Prendiamo la mulattiera col sottoscritto che spera poi di riuscire a scendere dalle piste e forse le Laura si convincono un po’ di quello che dico. Male, malissimo! Poi la stradina piega a sinistra e noi abbandoniamo ogni speranza di poter ridiscendere dalla nera. Il gioco al momento però non sembra particolarmente duro: il pendio si allunga più in orizzontale che in verticale e così, pigramente, ci avviciniamo sempre più alla vetta. In effetti il ritmo è da scampagnata dell’oratorio ma, del resto, non vedo buone ragioni per trasformare questo salto nel buio in una disperata rincorsa di un rovinoso disastro. Meglio salire in tutta calma, snocciolare pillole di saggezza come se ne sapessi effettivamente qualcosa e intano pensare a dove sarà meglio scendere. Già, perché passare in mezzo a questa distesa di massi che dormono sul falsopiano si tradurrà presumibilmente in una lezione di voga. Allora mi guardo intorno, vedo le tracce di discesa e decido che noi scenderemo da lì, sulla destra, verso l’ignoto ma soprattutto verso un presunto salto nel vuoto con l’allenatore da strapazzo che mi rincuora perché “poi si vedrà”. Intanto il pendio diventa tale: guadagniamo quota con una serie di inversioni che risvegliano il lato religioso della Laura mentre, poco sopra, l’altra Laura inizia a mostrare i primi segni di preoccupazione. Almeno non sono più l’unico in questo mare in tempesta. Pensare al poi a volte è deleterio ma non tutti hanno il mio allenatore. Così alla fine optiamo per fermarci, togliere le pelli e sperimentare la discesa. Fantozzi aveva la sua nuvola temporalesca, noi abbiamo quella del dubbio perpetuo: come sarà la discesa? Parto sul primo tratto, le due Laura a seguire, sempre più divorate dal dubbio. Poi per una la nebbia si dissolve, guadagna una certa fiducia e si lascia trasportare sulla neve che, tutto sommato, non è neanche male. L’altra invece resta avvolta nel suo scialle di perplessità ma, una curva dietro l’altra, perde quota. Poi il pendio si stringe e diventa più ripido. File di arbusti sembrano i tentacoli della piovra e noi dovremo passarci in mezzo. Il percorso è tritato, martoriato dai passaggi. Mi viene in mente la discesa dal Motto del Toro ma là il solo ad avere problemi era mio fratello, per me c’era il puro divertimento col brivido dell’incognita. Qui invece sono sospeso. Potrebbe esserci la rivolta ma potrebbe anche andare bene. Intanto perdiamo quota e questa è buona cosa. I tratti più brutti ora se ne stanno più su, vediamo la mulattiera sempre più vicina finchè, finalmente, i legni la calpestano e la resa dei conti finalmente mi sorride.
Cavallo Goloso
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