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MONTE DI SALMURANO – VAL GEROLA

domenica 24 marzo ‘24


Sono in odore di santità, lo so. Sento la mancanza della roccia sotto le dita, del profumo Odor de Fromage delle scarpette e delle mazzate da parte di tiri che, quando facevo il “topo da falesia”, mi riuscivano quasi senza colpo ferire ma so che la Laura non può resistere all’astinenza anche se poi, alla domanda su cosa faremo nel fine settimana, risponde - Vedi tu - Prendo in mano il telefono e, dopo aver studiato il bollettino meteo che in sostanza dice - Stai a casa! - o, al massimo, - Prova a farti bastonare in falesia -, sento la Lella e l’Andre ‘che forse, per una volta, riusciamo a non paccarci vicendevolmente. Così alla fine le opzioni sono due: san Bernardino (questo sconosciuto!) o Salmurano (anche qui un’ennesima porzione di milite ignoto). Oppure ci sarebbe la terza scelta: falesia ma quella era già scartata a priori e, comunque, con la Lella e l’Andre sarebbe stata in val d’Ossola di cui però non ho voglia di fare la vasca. E alla fine, storcendo forse un po’ il naso, si finisce per andare in val Gerola dove l’arrivo al parcheggio al termine della strada è una specie di shock: le auto presenti un po’ ovunque lasciano intendere che qui ci sarà da sgomitare e che la discesa sarà su un terreno che avrà come subito una specie di bombardamento. D’altra parte, il fronte minaccioso che ricopre le montagne dall’altra parte della Valtellina non lascia molte alternative e, si sa, i fanatici dello scialpinismo piuttosto che starsene a casa sono disposti a macinare centinaia di chilometri. Così inforchiamo gli sci sotto il pendio iniziale e iniziamo a seguire la mandria che ci precede. O meglio, queste sarebbero le intenzioni ma nessuno ci aveva avvertito che avremmo dovuto cimentarci anche nel pattinaggio su ghiaccio. Già perché la neve è una lastra dura e gelida su cui le pelli faticano ad aderire così che, mentre uno sci arranca faticosamente verso l’alto, immancabilmente quello più a valle prende la tangente verso il basso tanto che la Laura se ne esce - La gita peggiore di sempre! - forse il commento è un po’ affrettato ma, in effetti, l’incipit non è dei migliori. Fortuna vuole che, appena raggiunta la prima baita, usciamo dallo stadio del ghiaccio e i legni iniziano a fare il loro lavoro. Il circo però non finisce qui. Lo spettacolo successivo arriva sul pendio finale che porta al breve crinale alla base della vetta. Guardiamo i birilli che ci precedono: evidentemente qualcuno là in alto deve essere particolarmente abile nel bowling perché gli scialpinisti cadono e scivolano con una facilità disarmante. Mi domando come saranno le condizioni e intanto mi avvicino alla buca. La traccia qui è sì scivolosa ma anche decisamente netta. Una serie di inversioni mi portano a superare la fascia del primo ostacolo poi il pendio si stringe e il crinale è praticamente a portata. Anche questo ostacolo ce lo troviamo dietro le spalle ma oramai è assodato che noi siamo forti. Così arriviamo in cima col cielo che, nel frattempo, è invecchiato e si è ingrigito: nuovamente neve e nuvole tendono a fondersi e, a tratti, la visibilità in discesa è piuttosto difficoltosa. Torniamo cosö all’infida stradina ed è qui che mi gioco il mio destino abbandonando il gruppo e infilandomi in una stretta valletta sul cui fondo scorre un simpatico e gelido torrentello. Tutto perchè un po’ di estremismo non fa mai male. Scendo in qualche modo nella gola finchè, all’ennesimo attraversamento di un pendio troppo ripido, la lamina prende il volo e io inizio a scivolare verso le fauci del torrente. Tutto sommato mi va anche bene limitandomi ad un rapido pediluvio senza conseguenze per poi dover superare nuovamente le tracce ghiacciate del pendio iniziale.


Cavallo Goloso


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sabato 14 gennaio ’23


Potrebbe essere la resa dei conti, la differenza tra la vita e la morte dello scialpinismo. Così salgo sul ring delle responsabilità a farmi prendere a cazzotti dall’ignoto e, quando questo ha finito, dal compagno con la maglietta “dubbi”. Eppure il mio cervello, allenatore da strapazzo con l’abilità nell’illudermi che la soluzione sia sempre semplice e che comunque “poi si vedrà”, mi aveva tranquillizzato: risalite le piste, vi fate una bella sciata e vedrai che tutto filerà liscio. Solo che quello non ha tenuto conto dell’imprevisto, il tranello di cui l’ignoto fa uso ed abuso: l’apertura degli impianti! Mi arrovello a cercare informazioni su internet ma, chissà perché, a volte cercare qualcosa sulla rete è come pretendere di individuare il fatidico ago nel pagliaio. Così provo col caro e vecchio telefono ma dall’altro lato mi risponde solo un laconico TUUUUU. Mi metto davanti allo specchio e mi convinco che presto i nodi verranno al pettine. Ora è solo necessario indorare la pillola e scaricare la colpa su qualcun altro: “Hanno aperto gli impianti… Non possiamo risalire le piste… C’è una gita semplice…”. Forse sono parole che servono a convincere più il sottoscritto che le due Laura ma tantè. Almeno all’inizio la fortuna sembra aiutarmi, perché questa non è vero che aiuti gli audaci ma, piuttosto, chi va in giro a casaccio che non è detto sia sempre la stessa cosa. Prendiamo la mulattiera col sottoscritto che spera poi di riuscire a scendere dalle piste e forse le Laura si convincono un po’ di quello che dico. Male, malissimo! Poi la stradina piega a sinistra e noi abbandoniamo ogni speranza di poter ridiscendere dalla nera. Il gioco al momento però non sembra particolarmente duro: il pendio si allunga più in orizzontale che in verticale e così, pigramente, ci avviciniamo sempre più alla vetta. In effetti il ritmo è da scampagnata dell’oratorio ma, del resto, non vedo buone ragioni per trasformare questo salto nel buio in una disperata rincorsa di un rovinoso disastro. Meglio salire in tutta calma, snocciolare pillole di saggezza come se ne sapessi effettivamente qualcosa e intano pensare a dove sarà meglio scendere. Già, perché passare in mezzo a questa distesa di massi che dormono sul falsopiano si tradurrà presumibilmente in una lezione di voga. Allora mi guardo intorno, vedo le tracce di discesa e decido che noi scenderemo da lì, sulla destra, verso l’ignoto ma soprattutto verso un presunto salto nel vuoto con l’allenatore da strapazzo che mi rincuora perché “poi si vedrà”. Intanto il pendio diventa tale: guadagniamo quota con una serie di inversioni che risvegliano il lato religioso della Laura mentre, poco sopra, l’altra Laura inizia a mostrare i primi segni di preoccupazione. Almeno non sono più l’unico in questo mare in tempesta. Pensare al poi a volte è deleterio ma non tutti hanno il mio allenatore. Così alla fine optiamo per fermarci, togliere le pelli e sperimentare la discesa. Fantozzi aveva la sua nuvola temporalesca, noi abbiamo quella del dubbio perpetuo: come sarà la discesa? Parto sul primo tratto, le due Laura a seguire, sempre più divorate dal dubbio. Poi per una la nebbia si dissolve, guadagna una certa fiducia e si lascia trasportare sulla neve che, tutto sommato, non è neanche male. L’altra invece resta avvolta nel suo scialle di perplessità ma, una curva dietro l’altra, perde quota. Poi il pendio si stringe e diventa più ripido. File di arbusti sembrano i tentacoli della piovra e noi dovremo passarci in mezzo. Il percorso è tritato, martoriato dai passaggi. Mi viene in mente la discesa dal Motto del Toro ma là il solo ad avere problemi era mio fratello, per me c’era il puro divertimento col brivido dell’incognita. Qui invece sono sospeso. Potrebbe esserci la rivolta ma potrebbe anche andare bene. Intanto perdiamo quota e questa è buona cosa. I tratti più brutti ora se ne stanno più su, vediamo la mulattiera sempre più vicina finchè, finalmente, i legni la calpestano e la resa dei conti finalmente mi sorride.


Cavallo Goloso


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