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MOTTO DEL TORO – VAL LEVENTINA

sabato 15 marzo ‘14


All’inizio sono per svicolare l’invito ma poi ne parlo con Micol e lei mi prende in contropiede: l’idea della salita in notturna le fa partire il trip caiano e così, alla fine di buon grado, mi trovo anch’io invischiato nell’avventura. Per evitare però di fare i segugi zoppi alla disperata rincorsa delle giovani e allenate prede decidiamo di anticipare la partenza insieme a Barbara e mio fratello.

L’estremismo è il sale della vita e così prima mi diverto a giocare con la lancetta del serbatoio che continua inesorabilmente a precipitare verso il basso mentre la distanza con il distributore si allunga come le ombre la sera. Poi inizio a fare il cane tornando di corsa per un paio di volte alla macchina per recuperare i lacci degli sci di mio fratello e quindi i miei occhiali!

Intanto la luna sembra divertirsi a fare il faro da discoteca e a illuminare il sentiero che continua a snodarsi sostanzialmente in piano lungo il pendio. Quando finalmente iniziamo a salire, è quindi già da un po’ che vaghiamo lungo il percorso; la traccia si inerpica nella foresta secondo il principio numero dei ciaspolisti: prendere il pendio per la massima pendenza possibile! Superato quindi il primo strappo, superiamo l’ultima lunga radura prima di ricompattare definitivamente i ranghi alla base dell’ultimo strappo: sulla carta, la capanna è relativamente vicina ma il dislivello che ci separa si riempe come una tinozza con il contagocce; mi sembra di essere in ballo da ore mentre i metri scorrono a rallentatore sotto le pelli finchè finalmente raggiungiamo la massa di neve che ricopre il rifugio. Fortunatamente evitiamo di dover liberare la porta d’ingresso che rimane un paio di metri sotto il piano nevoso mentre siamo costretti a spalare intorno le due canne fumarie se non vogliamo fare la fine dello speck! Tutto questo movimento non fa altro che favorire l’apertura della voragine dello stomaco tanto che, come un’immensa cloaca, ingurgito formaggio, salame e pancetta buttandoli in un pozzo senza fondo che sembra riempirsi solo quando arrivo al piatto di pasta. Poco dopo è invece il turno delle saracinesche degli occhi che si abbassano definitivamente costringendomi a trascinarmi in branda. Maledetto orologio biologico: non sono ancora le 7 che già sono baldanzosamente sveglio mentre gli altri tagliano legna a quintali!

Fuori il cielo è lattiginoso ma non fa per nulla freddo e, quando tutti hanno lasciato le braccia di Morfeo, riesco a convincere Davide a salire al Motto del Toro. Ci avviamo quindi alla vetta fino ad arrivare poco sotto un canalino alla cui base sono evidenti i segni di alcune piccole scariche. Ma ciò che desta maggiore preoccupazione sono una specie di seracco che sembra sul punto di suicidarsi e, poco oltre, una serie di palle di neve segno di una precedente mattanza e un’altra grossa frattura che si interpone tra noi e il seracco. Praticamente sembra di essere al cospetto della Brenva e, siccome non abbiamo voglia di giocare alla roulette russa, decidiamo di fare dietro front e lasciare perdere la bandierina sulla cima.

Superata la capanna, salutiamo il resto del gruppo e ci avviamo verso valle su una neve polverosa e in un bosco non eccessivamente fitto che ci permette di raggiungere rapidamente l’ultimo pianoro della salita. Da qui abbandoniamo la traccia iniziale e ci infiliamo sul sentiero che porta a Quinto e Ambrì e che, almeno sulla carta, dovrebbe permetterci di sciare facendoci evitare il lungo traverso dell’andata. Ma ben presto, nel fitto degli alberi, la nostra unica preoccupazione è quella di tornare alla civiltà senza eccessivi gironzolamenti finchè finalmente sgusciamo dalla foresta e imbocchiamo una comoda mulattiera. A questo punto ci sembra quindi di avere la vittoria in tasca e, infatti, al primo tornante, la strada si mostra scostumatamente senza neve: se non vogliamo portare gli sci in spalla, dovremo buttarci giù per il bosco! Ignaro, convinco Davide alla folle impresa introducendolo così all’estremismo: ben presto infatti il pendio sparisce sotto i legni, la pendenza si fa decisamente accentuata e lo spazio di manovra si riduce. Un paio di curve saltate e sono fuori dal canaletto iniziale; la neve è in condizioni ottimali e così raggiungo un’altra serie di salti: completamente in preda al trip del free rider, mentre mio fratello è tutt’altro che eccitato, balzo giù (o meglio mi lascio scivolare) e lascio alle spalle il tratto più arduo. Così l’ostacolo seguente mi sembra una semplice e banale formalità: non considero però che sotto la neve ci sia un grosso ceppo che, per poco, non mi provoca un rapido quanto doloroso cambio di sesso! Svicolo indenne dalla trappola e raggiungo il sentiero: tutto sembra ormai finito ma in realtà ci manca uno stretto traverso con annesso dirupo verticale sul quale scivoliamo come sulle uova e poi il tratto sci in spalla (fortunatamente breve) per tornare all’auto. Chissà se Davide tornerà a breve a farmi compagnia!


Cavallo Goloso


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