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BIVACCO CECCHINI – VALLE SPLUGA

domenica 29 gennaio ‘23


Sto sudando freddo, sono al limite di una crisi di nervi, potrei crollare da un momento all’altro. Mi guardo intorno per quanto la situazione me lo permetta ma mi sembra di essere circondato solo da indifferenza. Nessuno sembra condividere il dramma interiore che sto vivendo. Eppure la situazione non appare così mentalmente estenuante anzi, tutt’altro, sembra quasi idilliaca: siamo in 5 comodamente seduti al calduccio mentre saliamo i tornanti verso Monte Spluga. Eppure gli altri non vedono ciò che fissano incessantemente i miei occhi: la lancetta del carburante alla fine della riserva e il computer di bordo che mi da 0 chilometri di autonomia! La caduta è stata epocale, un crollo vertiginoso: sono entrato in riserva poco dopo Chiavenna e mai avrei pensato che la salita avrebbe prosciugato il serbatoio come un’idrovora. Così ora non vedo l’ora che il maledetto paese si materializzi oltre il parabrezza ma la fila di curve e poi il lago sembrano interminabili. Delicato sull’acceleratore come una farfalla, riesco a portare il Caddy al parcheggio, togliamo scarponi e zaini e iniziamo a prepararci in attesa che la carovana del corso si raggruppi. Praticamente abbiamo colonizzato l’area, occupata come una mandria troppo numerosa rispetto al recinto. Recupero i due allievi e la neo istruttrice (così probabilmente arriviamo a formare l’intero) e poi iniziamo a inseguire il resto della comitiva diretta ad una cima vicina al bivacco Cecchini. Non mi sento propriamente a mio agio: sarà per il pensiero fisso del rientro e della macchina che dovrà muoversi coi vapori del gasolio oppure per il fatto che mi senta un po’ inadeguato a fare l’istruttore di scialpinismo. Ma poi, come spesso capita, qualcosa mi invento: la butto sull’uso di carta e bussola, su quanto questa sia fondamentale in caso di nebbia e su come sia utile per il famigerato schizzo di rotta. Io, ovviamente, lo schizzo non l’ho mai fatto, al massimo a casa guardo di sfuggita la carta e poi si vedrà; figurarsi portarsi dietro la bussola: quella di solito se ne rimane nell’armadio sommersa tra le carte. Eppure con gli allievi si veste un altro abito, quello dell’incoerenza. Almeno in questo, corso di alpinismo, corso di scialpinismo e corso d’arrampicata sportiva sono uguali. Arriviamo quindi al bivacco, un po’ di nozioni topografiche su alcune delle cime che ci circondano e poi puntiamo al panettone quotato poco sopra. A quel punto ci affidano un terzo allievo per la discesa: mi metto davanti ma bastano poche curve per capire che quello che avrebbe bisogno di imparare a sciare è il sottoscritto. Così provo a spingere un po’ ma il nuovo arrivato padroneggia l’elemento come il sottoscritto il IV grado. Se non altro le condizioni della neve mi vengono abbastanza incontro e così raggiungiamo il lungo falsopiano che ci riporta a Monte Spluga. A questo punto la resa dei conti è ad un tiro di schioppo. Mi resta solo da sorbire l’attesa della merenda post gita (esperienza che il mio autismo asociale proprio non mi permette di digerire) mentre già mi immagino elemosinare una tanica di benzina col Caddy piantato da qualche parte lungo la strada per poi diventare lo zimbello del gruppo e vedermi appiccicata la targa del fesso. Saliamo a bordo e accendo il quadro. L’asticella del gasolio rinviene di un paio di micron. La macchina si accende e parte. Usciamo dal paese e riesco a guadagnare ancora qualche decimo di millimetro tanto da allontanarmi di un capello dal nulla assoluto. Il lago sfila oltre il portellone e la strada inizia a scendere: ho qualche speranza di riuscire a raggiungere il primo distributore ma il nastro d’asfalto è sempre maledettamente lungo e l’asticella non accenna minimamente a risalire ancora un po’. Così resto col fiato sospeso, senza toccare l’acceleratore finchè si materializza la pompa di benzina: mi fermo, do da bere all’assetato, mi prosciugo il portafogli ma finalmente mi libero del peso che mi ha attanagliato.


Cavallo Goloso


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