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VAI COL BLUES – PIZZO D'EUS

sabato 05 luglio ‘14


La proposta parte senza grande convinzione; il pizzo d’Eus è una di quelle mete nominate decine di volte e poi mai tentate ma, questa volta, viste le condizioni meteo degli ultimi giorni, sembra essere arrivato il suo momento. Ci troviamo quindi sotto la visibile parete, anche se al momento non siamo proprio sicuri si tratti effettivamente di lei, e questa brilla come uno specchio: nonostante l’ora avanzata, il sole sembra quindi non aver sortito alcun effetto! Arrivati però fin qui, decidiamo di continuare a giocare la carta del rischio e ci avviamo su per il sentiero; nel giro di poche decine di metri, le condizioni da foresta pluviale si mostrano in tutta la loro esuberanza: il fiume rigoglioso e spumeggiante ci separa dal resto del tracciato e l’unico mezzo per attraversarlo sarebbe una teleferica a mano solidamente legata ad un albero. Proviamo allora a fare come Stallone in “cliffhanger”, peccato però che il moschettone di sicurezza scorra sul cavo con la stessa mobilità delle statue umane in piazza duomo! Ad ogni azione corrisponde una reazione e, in questo caso, la logica conseguenza è quella di affrontare un altro pediluvio e raggiungere le stesse condizioni spugnose della parete. Affondando quindi ben oltre il ginocchio, raggiungiamo la riva opposta e da lì saliamo verso la parete. L’ultimo tratto è il frutto del processo fotosintetico spinto all’eccesso: l’erba verde e rigogliosa è l’ambiente ideale per le odiose zecche che non tardano a farsi vive, cosa che ci induce a cercare la salvezza il più rapidamente possibile lungo la parete qui sostanzialmente asciutta. Inizio per primo a mettere le mani sulla roccia: senza aver visto la sequenza delle lunghezze, mi domando se e quando mi spetterà il tiro della morte mentre lascio Cece alle prese con i prodotti del primo zecchificio. L’arrampicata è di quelle che piacciono al sottoscritto: placca tecnica con passaggi di precisione e quindi, sebbene la parete vista dal basso lasci a desiderare, la scalata sembra promettere un piccolo gioiellino.

I fatti sono due: o siamo particolarmente scarsi (e di questo, a dire il vero, non ci sono nemmeno troppi dubbi) oppure le relazioni che abbiamo in mano con una certa fastidiosa frequenza presentano imprecisioni quanto meno spiacevoli. Cece è in alto tutto preso a superare il passo più duro della via, peccato però che per uscirne non trovi nessuna soluzione se non l’uso del cliff! Insomma, la parete sembra mostrare subito la sua cattiveria ergendo un’estrema difesa già a pochi metri da terra. Cece prova e riprova stando a sinistra dello spit dove sembra esserci l’unica via di fuga ma alla fine desiste e mi lascia l’onere del comando. Rapidamente risalgo quindi al massimo punto raggiunto dove ripeto i suoi stessi movimenti: cliff su una netta tacca, staffata su fettuccia e poi su cordino per cercare di raggiungere un piccolo appoggio. Peccato però che sopra la parete sia perfettamente liscia e verticale senza offrire il minimo appiglio per stabilizzarsi. Insomma, da lì sembra proprio che non si riesca a passare. Torno al vicino spit e studio nuovamente la situazione: a destra si sprofonda nel nulla totale e l’unica soluzione sembra appunto il passaggio da sinistra per cercare di raggiungere quella che dovrebbe essere una grossa presa. Definito quindi che l’unico punto debole sia quello, trovo una tacca più piccola un po’ più in alto della precedente; estraggo nuovamente il ferro uncinato e, delicatamente, lo carico staffandoci sopra. L’armamentario regge, riesco a caricare il piede sul piccolo appoggio tanto agognato e, con la nuova posizione, esco dal duro e raggiungo l’agognata presa. La maggiore difesa della via crolla come una torre di sabbia e finalmente raggiungo la sosta. Il passaggio su cliff mi ha parecchio esaltato e non ho quindi alcuna intenzione di tornare indietro nonostante l’ora tarda dovuta alla necessità di far asciugare la parete. Cece però non riesce a carburare e quindi proseguo da capocordata fino al grosso ed elegante diedro dove torniamo ad alternarci. E solo sulle ultime due lunghezze si consuma il peccato: passiamo entrambi senza azzerare ma solo spingendo sapientemente sui piedi!

Ora resta da superare un boschetto e un prato con erba all’ombelico prima di raggiungere il sentiero di discesa. Evidentemente le zecche ci devono aver scambiato per l’espresso delle 5 perchè quando usciamo dalla distesa verde scarichiamo un considerevole numero di fastidiosi passeggeri. Più in basso poi abbiamo la brillante idea di tagliare per una presunta scorciatoia che ci porta a vagare per l’ennesimo immenso zecchificio senza, di contro, portare al risultato sperato! Ma, d’altra parte, come dice il proverbio “chi lascia la strada nota, sa cosa perde ma non sa cosa trova”!


Cavallo Goloso


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