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NATARAJ – MANDREA DI LAGHEL

giovedì 08 dicembre ‘11


Nonostante sia già mattina inoltrata, la temperatura ad Arco è piuttosto pungente: mentre ci infiliamo in un bar mi domando se effettivamente sia stata una buona idea venire fin qui e se, effettivamente, questo posto si presti per scalare d’inverno. Del resto, sono completamente all’oscuro delle possibilità offerte dalla regione, non mi sono minimamente interessato all’organizzazione ma, semplicemente, ho ricavato il mio buco sul sedile posteriore della Peugeot e ho atteso di scendere nella rinomata località trentina. In definitiva, sono totalmente nelle mani di Cece e Colo.

Lasciamo l’auto sotto la parete di Mandrea mentre il timore di restare mezzo congelato mi spinge ad indossare quasi tutti gli indumenti a disposizione. Ben imbacuccato mi incammino in compagnia dei ricordi del tentativo con Micol su Romantica: la dolce immagine è in perfetta antitesi con la rozzezza che si prefigura per le prossime due giornate accompagnato come sono da tre caiani e da uno spinto stile d’adattamento.

Superiamo tutta la parete fino a raggiungere l’attacco della via: Colo e Cece davanti, io e Fabio dietro mentre i caldi raggi del sole fanno da collante tra noi e la parete, liquefacendoci sulle rocce della Mandrea. Le maggiori difficoltà sono sui due tiri agli antipodi: il primo e l’ultimo. Colo parte guardingo zig zagando tra gli strapiombi lungo un percorso che ricerca la linea più semplice. Passiamo tutti in libera concordando che le difficoltà dichiarate sono decisamente largheggianti!

La salita prosegue senza problemi, lungo un percorso interessante e logico che segue i punti deboli di questa porzione di parete: si scala prevalentemente per diedri e fessure, intervallando stupende ma purtroppo rare placche a gocce; peccato forse per la chiodatura, un po’ troppo da falesia: la via avrebbe acquisito maggior valore e interesse se fosse stata a chiodi e avesse necessitato l’uso di protezioni mobili. Tutto fila liscio (cioè sempre il libera) fino alla base dell’ultima lunghezza: è il mio turno da capocordata e il compito è reso un po’ più semplice da un rinvio che Cece ci ha lasciato. Parto con la convinzione di passare in libera ma, ben presto, un brivido freddo mi percorre la schiena: il piede sinistro è slittato sulla roccia liscia e saponosa. Riesco ad evitare la caduta tenendomi con tutta la (poca) forza che ho con il risultato che non mi fido più dei piedi e, alla fine, staffo e supero lo strapiombo.

Quando raggiungiamo la macchina, c’è ancora luce e così il paese di Arco può ammirare passeggiare tra le proprie vie tre baldi giovani monturati palesemente caiani in compagnia di un quarto (Cece) che solo si differenzia per il camaleontico travestimento da FF. I quattro attirano lo sguardo di qualche pulzella ma forse più per l’odore di capra che per i loro possenti fisici. È comunque certo che l’indomani, dopo la notte all’addiaccio, io e Fabio non saremo certo più profumati, mentre Cece e Colo, riposatisi tra le lenzuola di un alberghetto, avranno certamente un aspetto migliore del nostro.


Cavallo Goloso


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