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MARY POPPINS – MEDALE

domenica 24 ottobre ‘10


Nonostante un tempo tipicamente anglosassone, è difficile placare l’arsura per la sete di arrampicata. Confidando nelle previsioni e nella possibilità di una comoda ritirata in doppia, puntiamo così ad una delle ultime salite senza patemi offerte dal Medale: Mary Poppins, con l’obiettivo si salire il più possibile in arrampicata libera.

La pala del Medale è completamente avvolta in un soffice mantello di nuvole, mentre Lecco dorme sotto un’impenetrabile coltre grigia; non piove, ma la vegetazione completamente bagnata a causa della forte umidità tratteggia un panorama quasi equatoriale appena smorzato dalle temperature che mi costringono ad indossare micropile e antivento. In queste condizioni, raggiungiamo la deserta base della parete dove ci accingiamo ai preparativi nonché a decidere chi debba iniziare la salita, lasciando così il tiro più duro all’altro. La decisione è rimandata alla dea bendata e così il sottoscritto si trova a legarsi all’estremità della corda lasciando l’onere del tiro sulla Taveggia a Cece.

La roccia, inizialmente umida, migliora una volta superati i primi metri così, se non fosse per i tratti quasi su sentiero e per la vegetazione ancora rigogliosa, raggiungerei la base della prima lunghezza con le scarpette asciutte. Risolto rapidamente l’inconveniente, inizio guardingo la mia salita da capo cordata superando il tratto nel diedro e poi la prima parte sul pilastro verticale. Raggiungo così quello che si rivelerà come il tratto chiave: un passo in traverso verso destra. Studio la situazione e sfido la sorte con un piccolo lancio che ha il solo risultato di lasciarmi appeso alla corda. Convinto che la soluzione sia quella, ma con le braccia oramai piene, non mi resta che tirare un paio di vecchi chiodi e raggiungere il resinato successivo. Da qui è ancora arrampicata libera fin sotto la sosta: devo rimontare sul piccolo ripiano ma sono preda della ghisa e non mi rimane che appoggiare un piede sulla protezione sottostante per raggiungere finalmente la sosta. Con le braccia doloranti e piuttosto sudaticcio recupero Cece che inizia poi la nostra terza lunghezza di giornata.

Ancora una volta la scalata si rivela estremamente esigente e riesco ad affrontarla in libera solo grazie alla corda dall’alto e all’informazione di Cece sulla grossa e risolutrice manetta che rimane nascosta alla vista. In realtà il tratto chiave è subito dopo, dove mi vedo costretto ad appoggiare i piedi su insignificanti graspoline affidandomi ad alcune prese un po’ sfuggenti con il risultato che gravo ulteriormente le braccia. Alla fine mi ritrovo comunque alla base del diedro dell’ultima lunghezza: una veloce occhiata al tiro mi lascia sentenziare che “questo sembra più scalabile” e quindi mi butto senza troppi indugi nel prosieguo della salita. Già dai primi passi, mi rendo conto dell’avventatezza di quella affermazione ed è solo studiando accuratamente i passaggi che raggiungo la sosta finale.

Sono in attesa che Cece liberi le corde per l’ultima doppia mentre osservo ciò che mi sta attorno: il panorama è nascosto dalla fitta coltre di nubi e quindi non posso che guardare verso il grigiume della parete. Poi lo sguardo, spinto dall’insolito colore nerastro della roccia, cade sulla curiosa nicchia proprio a fianco della sosta: osservo attentamente il piccolo buco e vengo attratto da qualcosa semi nascosto nell’oscurità. Aguzzo la vista mentre mi sembra di percepire le forme di un oggetto ben noto: del resto, l’anello che distinguo chiaramente ne è abbastanza rivelatore. “Si, deve proprio trattarsi di un chiodo” penso mentre mi accingo a trovare un legnetto per estrarlo da quel nascondiglio. Poi finalmente l’antico oggetto vede di nuovo la luce: deve trattarsi di un chiodo degli anni ‘30 o ‘40 con l’anello per il moschettone costituito da un pezzo indipendente e attaccato alla lama del chiodo grazie ad un apposito occhiello. Afferro il prezioso oggetto e lo appendo all’imbraco mentre mi chiedo spiegazione di quella misteriosa presenza: forse qualcuno, molto prima del Vitali, ha perlustrato quella porzione di parete...


Cavallo Goloso


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