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ERIKA – FUNGO

sabato 04 luglio ‘20


Sto salendo in Grignetta; sto andando verso il Fungo. È quasi un anno che non mi metto in gioco su una via. E per di più questa pare sia anche abbastanza caiana o, almeno, noi ce l’aspettiamo cosi tanto che, oltre ai friend, anche chiodi e martello si ammassano dentro lo zaino aggrovigliandosi gli uni sugli altri. Il sentiero della Direttissima fila via liscio anche perchè sto spingendo, l’indicatore quasi sul rosso fisso. Poi arriva il prato ripido, la classica distesa d’erba della morte certa: un passo falso e si finisce con un tuffo triplo carpiato direttamente a sguazzare nel lago a Mandello. Ma l’istinto di avvinghiarsi ai fili d’erba non può mica sparire in una manciata di mesi di semi inattività, è come andare in bicicletta: non ci si dimentica mai! E, infatti, mi avvinghio come se non avessi fatto altro negli ultimi mesi e riesco a non perdere troppo terreno da Jag e Danny. Combiniamo un bel trio di vecchi caiani da osteria, non fosse per l’assenza quasi cronica dell’arrotondamento curvilineo addominale e dei pantaloni alla zuava, per il resto viviamo tutti e tre di ricordi più o meno passati. Forse, arrampicatoriamente parlando, quello messo meglio è il Jag ma la realtà è che si trascina una serie infinita di patologie semi demenziali che spuntano un po’ come i funghi e così alla fine davanti all’attacco tocca al sottoscritto prendere le redini della conduzione. Oddio, a dirla tutta, la cosa non mi dispiace affatto anche se rompere il ghiaccio su un tiro che qualche mese fa mi avrebbe solo fatto ridere il cuore non mi lascia completamente tranquillo. Eppure ora sono in ballo e non mi resta che darci dentro. Guardo la cima della guglia lassù in alto a decine di metri dalla nostra posizione e poi parto. La roccia non sembra quella del Wenden ma non è nemmeno un marcione. Mi alzo delicato cercando di accarezzarla con l’eleganza di un gatto di marmo finchè non mi trovo a tu per tu con la sosta. È fatta, il ghiaccio si è rotto! Poi però mi ricordo che sarà si e no IV grado, che più avanti potremo averne delle belle e allora cerco di frenare l’entusiasmo e caricarmi per la prossima lunghezza.

Sono arenato, perso in un mare di calcare compatto come solo alcuni angoli della Grigna sanno fare. Non c’è l’ombra di un chiodo ma solo di qualche colata d’acqua. Vedo già il verricello dell’elicottero che mi recupera dopo essermi sfracellato. Chiedo conforto ai compari che se la spassano alla mia destra e poi ho l’apparizione. Le fette di salame si staccano e finalmente scorgo i magici anelli metallici. Traverso ancora a destra e poi riprendo a salire. Forse ora qualcosa si è definitivamente sbloccato, il meccanismo è tornato a girare: andavano forse solo rimessi in moto gli ingranaggi. Sul tiro dopo il rodaggio termina definitivamente, forse in modo un po’ brusco ma la via mi da una sonora sveglia scrollandomi di dosso gran parte della ruggine. La prima metà corre via liscia: la roccia è praticamente perfetta e la linea si srotola verso l’alto con logicità finchè arriva una piccola cengia, un ottimo posto per un bivacco o per piazzarci la sosta. E invece no: il tiro prosegue da qualche parte su verso l’alto. La logica mi dice che dovrei salire da una fessura diedro ma la struttura sembra difesa da un breve tratto di qualità discutibile: il fossato del castello. Mi guardo attorno e poi mi decido. Mi alzo delicato, arrivo alla fessura e poi c’ho il blocco del caiano. L’elicottero torna a sorvolare sopra la mia testa: mi vedo in un letto d’ospedale a farmi riattaccare i pezzettini di ossa. Cerco all’imbraco qualcosa che possa tornarmi utile e alla fine lo afferro: il mitico 0.5 torna a fare il suo sporco lavoro. Le camme si aprono, spingono contro le pareti della spaccatura e io sono salvo. L’elicottero se ne va silenzioso come era venuto. Ora devo mantenere la concentrazione, salire leggiadro e sperare che la sosta non sia troppo lontana. Poco sopra rischio di perdermi l’appuntamento, di passare oltre il termine del tiro e arenarmi da qualche parte sulla parete del Fungo finchè qualcosa mi fa voltare lo sguardo e scorgere l’agognato punto d’arrivo. L’ultima lunghezza è quasi una formalità solo che ora inizio ad avere il pepe nel culo: guardo l’ora, siamo in cima al torrione ma mi sembra si stra-maledettamente tardi. Vorrei correre, lanciarmi lungo la doppia, scavalcare la Lancia e poi buttarmi alla forcella per poi superare d’un fiato il sentiero fino ai Resinelli invece ci tocca pure assistere la famiglia incrodata sulla Direttissima prima di riuscire a tornare dalla bionda Jo.


Cavallo Goloso


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