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CASSIN – TORRE TRIESTE

domenica 13, lunedì 14 agosto '17


Ci sono voluti 10 anni ma alla fine ce l'ho fatta. La folgorazione è coincisa con la campagna al Civetta quando ero ancora un caiano col succhiotto e subito avevo messo gli occhi su quell'obelisco ma, fortunatamente, il saggio socio aveva dribblato la pazzia e io ero rimasto lì col naso all'insù a sognare a bocca aperta. Il desiderio però ha continuato a bussare imperterrito ad ogni bella stagione senza però riuscire a combaciare con un’occasione propizia finchè, un po' all'ultimo, gli astri si allineano e io mi ritrovo col Giaguaro a mirare verso oriente.

La strada per raggiungere Itaca però è irta di ostacoli ancor prima che la costa appaia all'orizzonte: un gruppo di suadenti sirene attirate dalla vista di due fusti bellocci carichi di ogni ammennicolo tenta infatti di ammaliarci con un dolce canto domandandoci incuriosite da dove stiamo arrivando. La risposta del Jag è tanto veritiera quanto capace di disperdere qualsiasi possibilità di un approccio: “dal parcheggio!”. Ora, le muse che già avevano apparecchiato mutandine e reggiseni ad asciugare sul prato, trasformano l'immagine di due baldanzosi arrampicatori tornati da una feroce battaglia con quella di due muli da soma gocciolanti di sudore che, per di più, proseguono imperterriti nel loro cammino senza nemmeno dover turarsi le orecchie. Così finiamo di sbuffare solo alla cengia dove dovremmo incontrare “diversi posti da bivacco”; la realtà però è qualcosa di diverso, tanto che nemmeno un giapponese potrebbe affermare che le due piazzole disponibili per passare la notte siano sufficienti ad ospitare più di 4 alpinisti! Fortuna vuole che siamo la prima cordata ad ambire a scalare la parete e così ci accoccoliamo tra gli spigoli delle pietre e il guano di qualche uccello che deve aver scambiato il basso muretto a secco per un bagno pubblico.

Alle 6:30, siamo già davanti al nostro obiettivo: è la prima volta che inizio a scalare così presto ma, in questo modo, dovremmo scampare ad un secondo bivacco. Intanto, evito la prima lunghezza che, a sentire la relazione, dovrebbe proporci un bel quintone con un solo chiodo: sono contento di svicolare da un possibile sfracellamento visto che mi sento ancora conteso dall’abbraccio di Morfeo. Certo che se nutro dubbi sulla prima lunghezza, che ne sarà delle prossime?

Non mi ci vuole comunque molto per abbandonare definitivamente la stretta del dio del sonno: al secondo tiro d’artificiale vengo infatti violentemente buttato nella dura realtà prima da un chiodo penzolante come la candela di un allergico e poi dal puzzle di dolomia che sembra sul punto di collassare solo a guardarlo. Così mi devo ingegnare per evitare a tutti i costi di appendermi al ferro sbilenco ricorrendo ad una vigorosa staffata dalla sosta per poi tuffarmi nel mare in tempesta e lottare con le mie paure lungo un traverso protetto da un malfermo C3 e sul quale, dovessi perdere il pezzo di puzzle che ho tra le mani, incorrerei nel destino del Grana sulla grattugia! Alla fine ne esco indenne ma soprattutto con la testa finalmente virata alla modalità caiana. Tutto insomma sembra girare nel verso giusto, per quanto valga tale affermazione su una via come questa, finchè inizio a mettere su ragnatele mentre il Jag, su un insospettabile tiro di IV, arranca come una lumaca zoppa. La situazione sta diventando oggettivamente inaccettabile ma, quando arriva il momento di seguire le corde ben tirate, intuisco di trovarmi su una variante ben più impegnativa del tiro affrontato da Cassin, quasi non ci bastassero i numerosi tiri che rasentano il limite umano! È come mangiare indiano e chiedere del peperoncino aggiuntivo!

Alla fine sbuchiamo sulla seconda cengia a metà della lotta e in perfetto orario tanto che, prima di affrontare fortunatamente da secondo il primo tiro sul pilastro sommitale, mi concedo il lusso di svuotarmi dalla lauta cena evitando così di riempire le mutande. Sto quindi tirando l’ennesima presa quando lo sento arrivare: è come il tuono dopo il fulmine, inevitabile. In tutti questi anni di onorata carriera caiana, è la seconda volta che mi trovo a doverlo affrontare. Prima era capitato verso la fine del diedro Maestri mentre ora mi aspettano ancora 9 lunghezze di sudore e sangue; lo sento venire ma non posso che aprirgli la porta e, malvolentieri, farlo sfogare sul mio povero braccio. Il crampo esplode e io mi trovo con l’arto superiore piegato a 90. Scrollo il braccio, lo rimetto in posizione e raggiungo il Jag. Da qui alla fine, dovrò continuamente convivere con la malefica contrattura cercando di evitare che dilaghi nel momento meno opportuno. Il tiro seguente è un’ennesima prova di forza. Per di più inizio a temere che il Jag possa alzare bandiera bianca ma, arrivato a questo punto, non ho alcuna intenzione di ribattere in ritirata anche perchè non credo che passerei una seconda volta sotto la ghigliottina della prima metà della via. Lotto con la fessura del diedro e con il malefico crampo ma alla fine esco sano e salvo dalla parete conscio che il prossimo diedro giallo sarà un problema del socio. La cosa che però ignoro è che i prossimi tiri (salvo uno) me li cuccherò tutti da capo cordata perchè il generoso Jag mi farà il regalo di starsene comodo dietro le corde! D’altra parte sono io quello che ardeva dalla voglia di mettere una bella X su questa parete e ora mi tocca completare l’ultimo pezzetto della sbarretta.

Me la cavo bene sull’ultima lunghezza d’artificiale, d’altra parte sono un maestro nell’arte del “ciapa e tira” mentre non mi sarei mai aspettato di dipingere a zebra i mutandoni sul tiro successivo. Sono sopra il passo chiave e devo uscire da una serie di blocchi fessurati. Di per sé il passo non sarebbe impegnativo ma la compagnia dell’incomodo crampo è come una spada di Damocle sopra la testa. Per di più il malefico ha iniziato a tormentare anche il braccio destro! Mi vedo allora prendere il volo e, con un tuffo carpiato degno della Cagnotto, sfracellarmi tra le braccia della signora incappucciata. Invece, forse grazie alla forza della disperazione, stritolo una fessura rovescia e mi ribalto sopra l’ultimo salto. Da qui in poi non c’è più storia: afferro squadre e spazzolone e mi infilo all’inseguimento dei diedri e camini finali da fanatico geometra spazzacamino! Non ho problemi a strisciare tra le pareti calcaree mentre al Jag (unico caso di caiano che aborra questo genere di strutture) tocca mangiarsi la mia polvere finché finalmente sbuco sul comignolo sommitale. La torre Trieste è sotto i miei piedi, l’agognato sogno (che poteva trasformarsi in incubo) alla fine si è materializzato sotto forma di 12 ore d’arrampicata che, più che prosciugarmi l’ugola, mi hanno asciugato ogni fibra muscolare. Non è però ancora tempo per i festeggiamenti perchè ci resta da risolvere l’altro cubo di Rubik: la discesa a valle che, come ricorda la confortante guida, è una delle più complesse delle Dolomiti! Come due rabdomanti ci mettiamo quindi alla ricerca del percorso di discesa provando pure l’ebbrezza di un passaggio da speleologo sotto un imponente masso incastrato. Poi è un continuo susseguirsi di “disfa le corde”, “fai la doppia”, “risistema le corde” finchè il velo scuro della notte ricopre la montagna. Siamo solo alla grossa cengia e proseguire senza conoscere la via di discesa potrebbe solo metterci nei casini così ci spariamo il secondo bivacco addossati alla parete da cui piovono sassi come i missili di Pyongyang. Me ne sto accucciato sotto la mantellina che contendo ripetutamente al Jag mentre i sibili fischiano nell’oscurità per poi infrangersi contro il versante con un tonfo roboante: sopra le nostre teste, altre cordate stanno ultimando le calate o devono essere alla ricerca di un posto per la notte.

Mi farei distrarre volentieri dalle sirene del sabato ma quelle hanno evidentemente gettato la spugna vista la nostra cocciuta risolutezza nell’avvinghiarci alle fredde e dure crode piuttosto che al loro morbido abbraccio, poi Morfeo spalanca le sue porte e, in qualche modo, faccio visita al suo mondo per le ore seguenti.


Cavallo Goloso


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