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BUON PRESAGIO – MURO DEL BUON PRESAGIO

sabato 12 gennaio ‘13


Gli idioti sono sempre due; basti pensare a Scemo e più Scemo, Gianni e Pinotto, io e Luca! Esatto: buon presagio! Queste due parole iniziano a darmi sui nervi; è tutto il giorno che Luca le pronuncia e finora non abbiamo cavato fuori un ragno dal buco.

Il tutto è iniziato a metà settimana quando Luca mi propone l’ennesima ravanata con bassissime probabilità di successo e sfacchinamento garantito. Tra l’altro, solo la montagna dovrebbe lasciarmi alquanto da pensare: il Cavalcorto. Ebbene si, l’inscalabile, inavvicinabile pinnacolo proprio sopra San Martino; quello che ho cercato di salire quattro (o forse anche cinque) volte dalla via dei Comaschi senza riuscire a salirne più di due tiri. Questa volta, l’idea è scalare la parete sud lungo Surya Namaskara. Ovviamene Cece scantona la maialata e così ci ritroviamo solo io e Luca, appunto due idioti.

Dopo aver consultato la relazione originale al bar Monica, finalmente alle 11 e mezza ci infiliamo sotto le coperte così, quando alle 4 suona la sveglia, la tentazione più forte è darle una martellata e girarsi dall’altra parte. Però alla fine partiamo.

Non sono ancora le 5, l’ambiente è color pece e solo le luci delle nostre frontali illuminano l’oscurità del bosco. Facciamo traccia in un mare di viscide e insidiose foglie pensando ai numeri che eseguiremo in discesa quando stanchi e sfiancati trascineremo i nostri piedi in questa specie di poltiglia volatile. Intanto ci lasciamo la foresta dietro le spalle mentre il sentiero si trasforma in un’unica lastra di ghiaccio. Buon presagio! Cercando disperatamente di non sfracellarci al suolo, piroettiamo tra una pietra e l’altra, un ciuffo d’erba dietro l’altro, per cercare di guadagnare quota. La traccia intanto sale e noi con lei; raggiungiamo il ponte sul torrente e poi navighiamo a vista allungando ovviamente il percorso più del necessario prima di ritrovare il sentiero mentre la est del Cavalcorto ci mostra le sue sinuosità. Sono circa le 7 e, se da un lato inizia a schiarire, dall’altro la situazione diventa sempre più nera. Buon presagio! Ancora!

Le cenge ci appaiono sormontate, straripanti, vomitanti tonnellate di neve; solo per arrivare al canale d’accesso, dovremmo scavare una trincea, poi lottare con ogni mezzo per guadagnarci la sella solo per avere la certezza che la parete è inagibile. Insomma se le probabilità di successo erano già ridotte, ora precipitano inesorabilmente verso il basso. E forse iniziano pure a scavare!

Quando il sole illumina la valle, la situazione ci pare nettamente più chiara: forse potremmo tentare la prima discesa con gli sci, peccato averli lasciati in garage!

E no! Questa volta no! Sono stufo di macinare chilometri per poi non toccare neppure un po’ di roccia, ci vuole una svolta radicale. Abbiamo due opportunità e, ovviamente, scegliamo quella con meno probabilità di riuscita; torniamo quindi a casa di Luca a prendere i Camalots 4 e 5 per poi rientrare verso la Valle: ho forti dubbi sul fatto che là vedremo un po’ di sole, comunque assecondo il progetto di Luca così, quando arriviamo di fronte alla parete, tutto è ancora avvolto nell’ombra sebbene siano già le 11! Buon presagio! Tra l’altro, dopo un’attenta occhiata, si manifestano palesemente due strisciate nere al cui centro brillano altrettante lastre ghiacciate: verglass! L’incubo peggiore se si hanno a disposizione solo le scarpette. Forse abbagliato da un barlume di saggezza o comunque messo di fronte all’evidenza dei fatti, alla fine anche Luca desiste e così, pur essendoci avvicinati un po’ di più alla roccia, la scena si ripete: rientro verso la macchina senza aver neppure tentato di scalare.

Per uno che non è mai stato in valle (male, malissimo!) occorre dire che il percorso d’accesso si svolge sostanzialmente in piano e su una comoda mulattiera. L’inverno aggiunge però alla bucolica vallata l’insidia di un percorso in gran parte ghiacciato, costringendoci così a numeri circensi per riuscire a stare in piedi; ma siccome oggi è la giornata del buon presagio, Luca, durante una delle numerose deviazioni, riesce a scivolare pigliando l’unico sputo di neve in un mare di erba ingiallita! Ma il bello viene dopo. Lasciato l’inconveniente e mentre ci chiediamo se sia effettivamente il caso di tentare di arrampicare visto che oramai non stiamo in piedi nemmeno sul sentiero, arriviamo nel punto dove la frana staccatasi dal Qualido forma un ridente laghetto. Ebbene, la piana ci appare in gran parte asciutta mostrando il fondo sabbioso del letto del torrente. Così, solo per curiosità o per allungare l’agonia della giornata, abbandono il sentiero e mi inoltro su questa distesa dalla terra dura come roccia. Raggiungo il lato opposto dove scorre ancora dell’acqua e Luca, istintivamente, lancia lo zaino al di là: lo guardo con un grosso punto interrogativo mentre lui mi spiega che credeva volessi attraversare. Ovviamente l’idea non mi aveva minimamente sfiorato ma oramai la frittata è fatta così, con un balzo, l’amico mi guarda dall’altra parte. Non mi resta che raggiungerlo, individuando l’atterraggio su una penisola di terra ricoperta di foglie. Spicco il volo e quando atterro il terreno mi manca sotto i piedi: il destro affonda inesorabilmente nel terriccio tenuto insieme solo dal gelo invernale mentre la gamba, seguita dal resto del corpo, frana rovinosamente al suolo! Insomma, dopo il bagno a Vho, mi mancavano i fanghi invernali!

La situazione è quantomeno comica e, con la scarpa e il pantalone destro ricoperti di melma, riprendo la strada verso l’auto. Buon presagio!

Carico gli zaini mentre Luca scruta quella che doveva essere l’altra alternativa e poi avvio il motore con l’intenzione di andare al Remenno. La macchina rotola per qualche centinaio di metri e poi si ferma: cosa andiamo a fare al Sasso? La voglia di falesia è sotto la suola delle scarpe! Chi se ne frega, torniamo su e almeno andiamo a dare un occhio a quelle fessure! Insomma, per l’ennesima volta ritorno verso il Gatto Rosso, questa volta con l’idea di scalare là dove il Simone ha indicato un nuovo possibile tracciato. Così, caricati nuovamente gli zaini, saliamo la traccia che costeggia il torrente del Precipizio fino ad arrivare poco sopra la base del salto d’acqua verticale. La linea è effettivamente chiara e evidente e così, all’ora in cui solitamente ci si mette con le gambe sotto il tavolo, io e Luca ci prepariamo per la nuova avventura, dopo essere partiti alle 5 per percorrere una distanza che, da San Martino, si supera in circa 45 minuti!

Questa volta però inizio io, almeno le mani sulla roccia sono certo di metterle; ho appena iniziato che Luca mi chiede se sia un buon presagio. Ora basta! Sto “buon presagio” ci ha portato sfiga tutto il giorno, spero proprio sia di cattivo, anzi cattivissimo presagio! Supero il primo facile tratto e arrivo alla base della fessura camino soprastante; sono negativamente stupefatto: visto dalla partenza, il passaggio non sembrava così duro ma ora si mostra come una frattura eccessivamente strapiombante alla cui metà sono incastrati dei sassi di dubbia stabilità. Va beh, oramai sono in ballo e inizio a danzare: piazzo il 4 e lo tiro. Alè! I massi incastrati sembrano reggere e io posiziono un’altra protezione. Tiro anche quella e mi incastro nella fessura come il turacciolo in una bottiglia; strisciando tra le due facce del camino e ravanando all’inverosimile, riesco a piazzare altri due friend sui quali poi ovviamente staffo. Ma per uscire devo ricorrere anche alla tecnica del lazo: in questo modo riesco a far passare un cordino intorno alla prua che delimita la fessura, come al solito staffo anche lì e mi ritrovo col bordo della struttura a livello del bacino. Ottimo, sono una maschera di sudore, non ho più forze ma almeno sono quasi fuori. Appunto, “quasi”! Ora immaginate una balena spiaggiata; anzi, no: un tricheco; mi sdraio sopra la prua e striscio verso la pianta utilizzando le mani come le zanne del mammifero mentre annaspo nel tentativo di afferrare le piante più avanti raggiungendo finalmente la sosta. Il forte Luca la fa facile: passa esternamente alla fessura, tirando come un ossesso la prua, però lui ha la corda dall’alto e le sue emozioni se le prenderà sul tiro seguente. La via sale lungo un diedro apparentemente semplice ma che propone un paio di passaggi per nulla banali e quando arrivo alla sosta non so se piangere, ridere o inorridire: sono protetto da tre friend e il mio unico pensiero è quello di piazzare un magnifico, maledetto chiodo. Ma Luca non ci sta e riesce a convincermi che, se piazzo bene un paio di C3, potrò proseguire senza martellare. Appunto, devo piazzarli ottimamente! Mi lascio convincere e assesto due protezioni a testa in giù a destra della sosta: sembrano tenere ma nessuno osa dire “buon presagio” e così lentamente le carico. Sono ancora vivo, quindi i C3 hanno retto; piazzo il mitico 5 e immediatamente lo afferro per poi raggiungere finalmente un appoggio per il destro. Ancora un paio di friend e esco dal tettino che chiude la fessura ma ora sono svuotato, afflosciato, completamente debilitato così non ne ho per riuscire ad affrontare un breve passo in libera prima di poter piazzare l’ennesimo friend. La mente è annebbiata e non scovo nessuna soluzione, non mi viene nemmeno in mente la più ovvia: provare a staffare, così mi faccio calare e cedo le corda a Luca. In quattro e quattr’otto l’amico è al massimo punto raggiunto e poi sparisce alla mia vista. I minuti passano con una lentezza inesorabile mentre osservo quei tre friend a cui sono appeso: ah come vedrei bene due bei chiodazzi sverginare la spaccatura! Poi ad un tratto sento il comando tanto atteso e mi schiodo dalla scomoda posizione.

Lo so, il C3 prima del 5 si è mosso e, a tirarlo, sicuramente uscirà dalla sede. Ma è l’unica soluzione. Lo afferro e quello, come in un film visto e rivisto, si sfila mentre il sottoscritto pendola verso destra. Poco male: guadagno lo spigolo della struttura e senza eccessive difficoltà sono al friendone e poi al massimo punto precedentemente raggiunto. Da qui in poi è terreno sconosciuto: roccia lichenosa e piuttosto sporca con diversi ciuffi d’erba, insomma un bel numero del forte Luca che oramai ha archiviato la via, manca solo l’ultimo facile tiro e poi è solo buon presagio!


Cavallo Goloso


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