racconto di cresta sinigaglia in grignetta (lecco, lombardia)


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CRESTA SINIGAGLIA – GRIGNETTA

sabato 14 gennaio ‘17


Non è arrivata la manna dal cielo, è venuta giù un’inutile e flebile imbiancata che, a mala pena, riesce a vincere la lotta contro l’erba ingiallita dei prati. Insufficiente per sciare, solo un problema per scalare, troppo poca per rendere canali o creste degli interessanti e ghiotti bocconcini ma, alla fine, è qui dove rivolgerò le mie attenzioni.

Il canalone Porta se ne sta lì paziente ad aspettarmi: quante volte ho percorso il suo tratto finale? Eppure non sono mai salito direttamente dalla sua base e forse questa potrebbe essere l’occasione buona. L’idea mi viene mentre sono ancora sotto le coperte: mi pare una meta interessante così saluto l’abbraccio di Morfeo, metto insieme zaino e materiale e mi avvio verso il mio destino senza immaginare quanto la giornata sarebbe potuta diventare pericolosa.

Il sentiero è già tracciato, forse da uno o al massimo due escursionisti ma, quando arrivo alla base del canale, le orme continuano verso la Sinigaglia. Mi do l’ultimo sprone e inizio a camminare tra sassi ricoperti da un leggero lenzuolo bianco. Bastano pochi passi per raggiungere il primo ostacolo, un breve saltino che, in altre condizioni, non desterebbe alcuna preoccupazione; ora invece la neve inconsistente ricopre ogni possibile appoggio e appiglio sfaldandosi come fosse un mucchio di farina. Mi tocca quindi richiamare tutte le mie abilità da FF per poter cantare vittoria nella prima battaglia senza però accorgermi che intorno a me inizia a tessersi una tela che, lentamente, mi intrappolerà nella sua morsa asfissiante. Ignaro di tutto, riprendo così a salire fino all’ostacolo successivo, un’altra placca appoggiata ricoperta di neve e superabile da destra. Ci provo tre volte, tento anche da sinistra ma alla fine mi arrendo e alzo bandiera bianca. La tela si apre leggermente come se avesse mollato la presa. Non ho grandi alternative: o torno a casa, o salgo per la Sinigaglia, anche questa mai completata. Ritorno così alle tracce e inizio a seguirle cercando poi di valutare le eventuali possibilità che si apriranno una volta raggiunta la vetta. Intanto però la tela ha ripreso a serrarsi e il suo scatto è la normale del Magnaghi centrale. Mi avvicino alla parete come stregato da quegli infidi salti, una linea facile che sembra invitarmi e lusingarmi con sempre maggiore forza. Alla fine ci casco e le tela mi toglie gran parte dell’aria che mi circonda. L’inizio non è problematico ma intanto il sacco in cui sono finito si stringe sempre di più. Mi alzo lentamente cercando la linea più semplice e trovando appoggi e begli appigli che mi allontanano sempre più dalla base. Supero così un paio di soste fino a trovarmi davanti ad una paretina più ripida. La tela si serra lasciandomi solo uno spiraglio. Se avessi la corda o almeno le scarpette sarebbe un’altra cosa ma invece mi trovo con scarponi e mani irrigidite dal freddo. Mi alzo una prima volta e finalmente l’istinto di sopravvivenza si sveglia e mi scuote: cosa cazzo stai facendo? Non posso sbagliare: ho un solo colpo e devo assolutamente fare centro. Riprovo. Supero il passo ma la situazione non migliora. Provo a sinistra, cercando di raggiungere una specie di canale ma l’aria sotto le chiappe è una specie di lassativo. Il sacco si è praticamente chiuso ma, questa volta, l’istinto di sopravvivenza inizia ad urlare. Sono andato troppo oltre; voglio forse mettere il cartello fine a tutto? Non mi resta che fare retromarcia, restare ancora appeso all’amo e sperare che il filo non si spezzi. La luce che trapela dalla tela è flebile. Mi impongo di stare calmo mentre affronto l’infido passaggio a ritroso per poi iniziare a darmi del coglione, migliore definizione non ci sarebbe, finchè mi ritrovo nuovamente alla base intero e incolume. La tela si scioglie: per oggi posso finirla con le emozioni e quindi, per evitare di cadere ancora in tentazione, prendo la strada del ritorno lasciando da parte ogni velleità. Invece la tela torna nuovamente a tessersi e gonfiarsi e, quando sono quasi al termine della cresta, la trappola scatta nuovamente. Questa volta la tentazione è rappresentata da un paio di canali che, come ramificazioni, si staccano dai primi metri del Porta: mi appaiono come due linee incastonate tra le guglie, ripide, quasi verticali. Un’altra ghiottoneria insomma. Andare a darci un occhio mi sembra ovviamente la cosa più naturale, come se il rischio appena scampato fosse già stato cancellato. Risalgo quindi il tratto iniziale del Porta e poi mi infilo su per il primo canale che trovo a sinistra. Aggiro un primo saltino delicato stando sul pendio a destra e poi inizio a pestare neve inconsistente fino ad una strozzatura. Alcuni facili passi di misto mi accompagnano poco oltre fin dove non mi è più possibile salire. La debole tela questa volta non riesce ad intrappolarmi: si scioglie definitivamente mentre pongo definitivamente fine al pericoloso autolesionismo.


Cavallo Goloso


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