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PARETE NORD DELLA CIMA CADINI – VALFURVA

sabato 13 e domenica 14 giugno ’09


Dopo una sveglia piuttosto traumatica e una ricca colazione, quando raggiungiamo il punto di sosta all'uscita della superstrada, non riesco a resistere al richiamo delle prelibatezze che fanno bella mostra sul bancone. Così mi ritrovo seduto al tavolino con due fette di torta che mi fissano dal piatto: attacco quella morbida al cioccolato, mentre la copertura si frantuma al contatto con la forchetta. Poi è il turno della crostata alla nutella rivestita da un abbondante strato di noci: le pupille gustative intonano inni di lode mentre la crema scivola sulla lingua per poi tuffarsi nelle oscure profondità della gola, mentre le noci scricchiolano sotto i denti.
La giornata promette bene!

Lasciamo l'auto ai Forni e, un po' disordinatamente, imbocchiamo la mulattiera per il rifugio Branca. La fila si spezza quasi subito; mi trovo nel centro del gruppo mentre studio gli altri componenti. Davanti hanno iniziato ad imprimere un buon ritmo. Lascio il tempo ai miei motori di scaldarsi, poi quando entrano in gioco le due fette di torta, inizio a guadagnare posizioni fino a ritrovarmi in testa: mi devo sfogare, poi ci attendono le manovre.
Lasciamo il rifugio per raggiungere il nevaio sottostante che apre le porte al sovrastante ghiacciaio. Con il mio allievo, mi aggrego ad un altro istruttore e poi iniziamo il noioso ma necessario ripasso: come ci si lega, progressione su ghiaccio, recupero del chiodo, Abalakov, fungo di neve. Mi chiedo se qualcuno lo abbia mai utilizzato per calarsi... Nonostante il sole inizi ad entrare nelle ore pomeridiane, la neve tiene bene e questo lascia ben sperare per l'indomani.

Passiamo le ore che ci separano dalla cena davanti ad un boccale di birra, mentre ascoltiamo le evoluzioni che qualche allievo esegue con la chitarra portata da un volenteroso. Beh, a dire il vero, davanti a me non c'è alcun boccale ma del resto prediligo nettamente il solido al liquido!

Poi finalmente la tanto attesa cena: sono strabiliato, esterrefatto e decisamente sorpreso. Davanti ai miei occhi, il piatto offre un piccolo antipasto! Un antipasto in un rifugio? E’ una gradita novità che non mi lascio certo sfuggire! Segue un classico primo e quindi il secondo. Entrambe le portate sono abbondanti e molto gustose e in più non manca la possibilità del bis. L’unico neo è dato dalla sostituzione del dessert con una ciotola ricolma di succose mele, ma ci saremmo poi rifatti l’indomani in occasione della colazione.


La sveglia trilla ad un orario impronunciabile: sistemo il sacco lenzuolo, lavo i denti e sono in sala da pranzo. Il tavolo della colazione è ricco di pane, burro e marmellate, la tipica alimentazione da rifugio. Insieme, però, sono stati aggiunti diversi barattolini di yogurt che spiccano tra le altre pietanze. Mi siedo in attesa del tè e non tarda molto che il mio sguardo venga calamitato sulla credenza in fondo alla sala. La ricompensa per la mancanza del dessert a cena è lì, tagliata a dadini, dall’aspetto maledettamente invitante, scura e soffice. Non resisto e mi alzo a fare il pieno della torta di cioccolato che poi porgo agli altri commensali. L’operazione sarà svolta diverse volte prima di lasciare la sala da pranzo per inoltrarci nel buio della notte (o della mattina presto?).

Sono le 4 e una lunga fila di frontali illumina il sentiero che abbandona il rifugio Branca per dirigersi al ghiacciaio dei Forni. Vedo che il mio allievo ha un buon passo, così supero il primo gruppo avvicinandomi a quello di testa. Raggiungiamo la lingua glaciale e iniziamo le operazioni di vestizione. La progressione su ghiaccio prosegue senza problemi per tutto il pianoro: le cordate sono sparse lungo il percorso e noi ci troviamo tra le prime posizioni.
Quando raggiungiamo l’attacco della Nord, davanti a noi ci sono solo tre istruttori con i relativi allievi. Attendo quindi che attacchino lo scivolo di neve per ovvi motivi d’esperienza, ma anche per sfruttare la loro traccia e non dovermi quindi trovare a battere. La scelta, se da un lato si rivela vincente permettendomi di salire su una scala, dall’altro mi lascia un po’ con l’amaro in bocca non avendo percorso la mia linea personale, calcando il manto vergine della Nord, ma piuttosto standardizzandomi a un percorso già battuto. Certo, sarei potuto uscire dalla traccia e percorrerne una mia, ma la pedonata era un invito troppo forte!
Superiamo quindi senza difficoltà la parete e, con un breve tratto di cresta, raggiungiamo la cima della Cadini.
Sono ancora visibili i resti delle baracche e delle strutture che hanno ospitato i soldati durante la Grande Guerra. Pensare a quei militari che hanno passato gli inverni a queste altezze e con l’abbigliamento inadeguato del tempo, mi lascia esterrefatto. Per un momento non sento alcuna gioia nell’aver raggiunto una cima che, poco meno di un secolo fa, ha rappresentato una condanna al patimento per centinaia di uomini.
Poi lo sguardo spazia sulle vette circostanti: il Brenta è a un tiro di schioppo e le pareti settentrionali delle sue torri portano ancora i segni delle intense precipitazioni invernali. Quest’anno dovrò attendere non poco prima di poter posare le mie scarpette sulla dolomia! Più a est si staglia inconfondibile la Marmolada, con la sua imponente parete meridionale e la calotta glaciale della cima, poco più a sud si scorge la sagoma di un’altra Signora delle Dolomiti: il Civetta e a nord il gruppo del Sella. Riesco infine a intravedere la sagoma del Catinaccio dove sono stato un paio di anni fa con l’Alpinismo Giovanile.

Inizia quindi la lunga discesa che ci riporta, con ritmi gitanti, fino al termine del ghiacciaio e quindi al rifugio. Non è ancora mezzogiorno e ho tutto il tempo per riordinare lo zaino prima di consumare un leggero pasto.
I miei compagni d’auto fremono per partire; se fosse per me, starei in giro volentieri ancora per un po’ ma, in effetti, la strada del rientro è piuttosto lunga e l’incognita del traffico ci minaccia con un ghigno maligno.

La strada è sgombra e così rapidamente entriamo a Morbegno dove ci fermiamo per una sosta mangereccia: la vittima prescelta è una gelateria. Come al solito chiedo una vaschetta. Da 1Kg! E, come oramai di routine, devo chiedere anche il cucchiaino. Apro la confezione e intingo la mia piccola arma nella vittima sacrificale. Poi le papille gustative iniziano il loro consueto lavoro. Quando termino la vaschetta, per far compagnia a Claudio, prendo una coppetta: e così valico la fatidica soglia del chilo di gelato!


Cavallo Goloso


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