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RIFUGIO PONTI – VAL MASINO

domenica 30 giugno ‘13


Alpinisticamente parlando, il mese si chiude con una completa disfatta; il semestre ha avuto un picco vertiginoso verso il basso, è precipitato, si è inabissato in un vortice dal quale sembra non riuscire più ad uscire. È ufficiale: dalla crisi mi sono direttamente tuffato nella recessione. Il curriculum alpinistico è in pieno stallo: nessuna salita in Valle; l’impresa alpinistica più gloriosa è stata Ginsengg con uscita sulla via delle Clessidre insieme forse a Buon Presagio (che in definitiva si è rivelato, almeno per il sottoscritto, l’esatto opposto!); l’unica salita di rilievo completata è stata la Zanetti in Medale, poi si contano alcuni tiri sulla via della Formica e quindi sull’Altra Faccia della Luna; l’arrampicata più lunga è stata invece la solitaria su Renata e Santo Domingo al Pertusio. Con un palmares del genere, la normale al Badile sarebbe già un’impresa! In mia difesa posso solo giocare la carta del meteo e delle bizzarrie di una primavera che, di fatto, non è mai stata tale anche se, le poche occasioni avute, mi sono poi schizzate via dalle mani come fossero una saponetta.

Così, per stare nel solco della tradizione, mi concedo una giornata di riposo dopo le immani fatiche di una falesiata al Tramonto. La giornata è di quelle in cui bisognerebbe trovarsi su un 4000 o su una qualche mitica parete alpina: calda, ma non troppo, è con un cielo limpido da cartolina. Ma il nostro obiettivo ricade sul rifugio Ponti, come a volermi sparare davanti al naso l’ennesima possibile caianata sfumata. Certo che se, come da alternativa, fossimo andati alle Placche dell’Oasi, mi sarei trovato a subire gli sberleffi dell’intonsa val di Mello, cosa che mi avrebbe forse fatto rodere di più il fegato!

L’unica consolazione (e scusate se è poco!) che va al di là dei risvolti alpinistici, resta però il fatto che finalmente la mia partita con la chimica si avvicina a grandi passi verso il termine e finalmente il risultato mi sorride: infatti, dopo un’infinità di mesi, riesco a sottrarre Micol agli studi pre-laurea addirittura per l’intero week end e così, dopo la falesia, ci troviamo a salire la strada per la Predarossa. L’auto di Boris, carica all’inverosimile, scala con foga i tornanti gustando forse per la prima volta l’aria d’altura finchè il nastro d’asfalto si arresta di fronte alla piana a quasi 2000m. Siamo come rimbalzati in una specie di grande parcheggio stile centro commerciale anche se fortunatamente i prati intorno al torrente non ricordano ancora le spiagge di Rimini. Inforchiamo quindi gli scarponi e ci avviamo lungo il sentiero alla volta della Ponti. Il primo pianone scivola via come nulla fosse anche perchè i nostri zaini non hanno niente a che vedere con i macigni che ci scarrozzavamo durante il tentativo su Zastava! Così, seguendo l’idea di mio papà, aggiungiamo un pizzico d’avventura risalendo dalla morena anziché per il classico sentiero: la ridanciana comitiva inizia così a sbuffare come un grosso locomotore a vapore mentre risale la ripida cresta detritica. Del nostro obiettivo nemmeno l’ombra mentre davanti a noi continua a stamparsi la mole del Dissgrazia con un ghiacciaio che non mostra alcun segni di sofferenza tanto che riusciamo a scorgere alcuni scialpinisti che scivolano ancora sulla distesa bianca. Se da un lato l’anomala situazione giova alla vista, nell’immediato ci pone il problema dell’attraversamento di una lingua nevosa che ci separa dal rifugio. Scovato quindi un punto idoneo, proseguiamo il nostro cammino fino ad atterrare sullo spiazzo antistante la Ponti.

Rispetto al caianesimo spinto, il tranquillo escursionismo si accompagna con la tranquillità e la giovialità di un buon pranzo, così, gustando i caldi raggi del sole, svuotiamo i nostri zaini riempiendo la sacca degli stomaci. Intanto però un gruppo di una nuvole dispettose spegne ad intermittenza la nostra fonte di calore fornendoci la scusa per rintanarci nella sala da pranzo in attesa di riprendere la via del ritorno lungo il più comodo sentiero d’accesso.


Cavallo Goloso


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