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MONTANHA DO PICO – AZZORRE

mercoledì 24 agosto ‘16


Trovare in mezzo all’oceano Atlantico qualcosa che soddisfi l’aquila non è apparentemente facile eppure, quando scopro che le Azzorre sono delle isole e non solo il nome dell’anticiclone e che lì si trova la vetta più alta del Portogallo nonché la cima sopra i 2000 metri più a ovest d’Europa, riesco anche a tranquillizzare il mio lato caiano già in stato di febbrile ebollizione al solo sentir parlare di mare! Così focalizzo le mie energie mentali sulla salita riuscendo ad abbindolare proprio quel mio lato che vorrebbe trovarsi sempre tra crode e punte aguzze fino all’arrivo del gran giorno. Ci alziamo più presto del solito, se non altro per avere tempo per cercare un posto dove fare colazione e riempire gli stomaci di dolciumi vari proseguendo anche nel gettare solidi basi al mio futuro di diabetico! Riempiti quindi i sacchi degli stomaci con un pieno di energia più che sufficiente per fare direttamente dal mare al Pico almeno un paio di volte, finalmente ci decidiamo a levare le mie flaccide chiappe e quelle sode di Micol dal locale per poi posarle sulla Yaris e spararci i 1200 metri che ci separano dalla partenza della salita. Così partiamo verso il nulla, verso il selvaggio entroterra, passando evidentemente attraverso qualche porta spazio-temporale che, nel giro di un attimo, ci catapulta tra pascoli svizzeri e mucche al pascolo. Solo la flemma delle vacche svaccate pare l’unico distinguo dalle teutoniche compagne: le portoghesi infatti si piazzano tranquille in mezzo alla strada forse per evitare di inzaccherarsi gli zoccoli di fango e terra e formando così un muro di chiappe, tette e corna da cui non riescirebbe a passare neppure uno spillo. Strombazzo senza ottenere alcun risultato finchè l’emisfero caiano del mio cervello si sveglia dal torpore resuscitando forse dal coma marino proprio grazie alla mandria di bovidi e ai pascoli elvetici. Apro la portiera dell’auto e, in una scena evidentemente comica, inizio ad gridare “oh, oh!” agitando in aria le braccia come a dire “e levatevi dar cazzo!”. Pare che il linguaggio mucchesco sia internazionale o forse i mammiferi hanno partecipato a qualche stage svizzero perchè, con somma calma, iniziano finalmente a togliersi di torno. Così arriviamo alla “Casa da Montanha” dove, pagato l’obolo per la salita e compilato il modulo di registrazione al quale mancherebbe solo la richiesta del gruppo sanguigno e della tendenza sessuale, dobbiamo pure sorbirci l’interessantissima lezione sui pericoli della montagna e sulle mirabolanti capacità del GPS! Ma non vedi che hai di fronte l’immenso Fraclimb? Poi finalmente possiamo catapultarci nel mondo verde e lussureggiante del vulcano lungo un sentiero che sembra una specie di trincea che si snoda lungo il versante. Lasciata quindi la rampa di scale che pare un po’ come la porta degli inferi, iniziamo così la nostra ascesa a caccia delle paline numerate che, come promesso alla partenza, dovrebbero costeggiare il percorso. D’altra parte, tale definizione non potrebbe calzare meglio: infatti, una volta entrati nel selvaggio e pericoloso mondo della montagna, dobbiamo camminare per diversi minuti prima di scovare la palina numero 1 mentre il secondo segnale dev’essere impegnato nel torneo mondiale di nascondino! Fortuna vuole che abbiamo con noi il GPS!

Intanto guadagniamo quota rapidamente centrando nel mirino sempre più escursionisti che, ben presto, iniziamo a superare. D’altra parte ci piace vincere facile: è infatti chiaramente evidente quanto la maggior parte di questi sia un pesce fuor d’acqua, tanto quanto il sottoscritto sarebbe una “marmotta fuor di prato” alle prese con onde e surf!

In ogni caso, passando tra nuvole soffici e fugaci, arriviamo finalmente alla caldera, una specie di insolita e stupefacente piana lunare costellata per metà da belle placche e per l’altra dai rimasugli di lavorazione di un gigantesco macina-sassi con colorazioni che vanno dal rossastro al nero. Da buoni caiani, puntiamo però alla vetta vera e propria che si innalza solitaria su un lato dell’immenso pianoro come una specie di pinna di squalo, lasciando al rientro l’esplorazione della piana. D’altra parte l’istinto è l’istinto ed è proprio grazie a quello se, alla partenza, non ho esitato a farmi salassare con l’esborso di 2€ aggiuntivi per avere il lascia passare per la vetta. Solo ora però mi rendo anche conto di quanto il viscido bigliettaio abbia goduto nel facile turlupinarci, visto che il permesso si rivela ben presto un inutile foglietto! In ogni caso, non recrimino più di tanto e mi avvio a superare le colate finali con tanto di breve caminetto a difesa della cima. L’ostacolo però collassa senza quasi alcuna resistenza e noi ci troviamo con il vulcano ai nostri piedi, sul punto più alto del Portogallo, in un momento di totale solitudine a scattare foto e scrutare l’orizzonte con la sua strabiliante monotonia oceanica interrotta solo dalle due isole vicine.


Cavallo Goloso


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