racconto del monte leone, sempione (vallese)


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MONTE LEONE – SEMPIONE

sabato 30 gennaio ‘16


Quando guardo la web-cam, capisco finalmente a cosa possa servire la pala: spostare la neve e metterla davanti agli sci! Tommy mi dice di avere fiducia mentre mi spara un rovescio comunicandomi l’ora del ritrovo: 5:15! Ci penso una frazione di secondi e, sebbene mi sembri esageratamente presto, accetto ben volentieri la sveglia da caianesimo extreme.

Se quindi desideravo tanto la lotta con l’alpe, già durante il viaggio iniziamo a ingollarne qualche boccone: il parabrezza infatti inizia a macularsi di piccole gocce d’acqua lasciandoci l’orripilante sospetto che proprio oggi la siccità abbia deciso di levare le tende. In realtà lassù l’idraulico interviene con rapida solerzia e, dopo una manciata di chilometri, la perdita è già risolta.

Ci muoviamo quindi alla volta del Sempione sotto una spessa coltre di nuvole che però, giunti oramai alla meta, sembra quasi in procinto di squarciarsi . Con questa speranza (perchè non siamo dei caiani sadomaso), lasciamo quindi la macchina inoltrandoci nella nebbia alla ricerca del giusto tracciato. Seguo Tommy come il cane dietro il padrone finchè il cielo si fa sereno e il percorso diventa più chiaro. L’ambiente intorno a noi si apre su una finestra imponente e, mentre sparo vaneggiamenti a raffica sulle possibili cime che ci circondano, ci avviciniamo alla sella sovrastante. L’obiettivo mi pare a portata di mano, praticamente già raggiunto, così quando Tommy mi informa sulla distanza mi colpisce nuovamente con un inaspettato destro. Eppure la botta non lascia segni: resto convinto che il dislivello sia più contenuto e, passato in testa, inizio a risalire deciso il pendio con l’idea che si potrebbe anche tentare il Breithorn! Caiano spaccone, ecco come potrei chiamarmi!

Ad accoglierci alla sella c’è solo un noioso vento che spira alle nostre spalle così, immaginandomi l’ambiente del colle sud all’Everest, avanzo lungo il breve tratto pianeggiante alla ricerca di un qualche riparo. Sciisticamente parlando, la gita potrebbe anche concludersi qui ma dove sarebbe lo spirito caiano? Volato via sotto la spinta di Eolo? Intanto il triangolo della cima diventa sempre più un magnete irresistibile mentre perdiamo quota sperando che più in basso il vento possa darci una tregua. Invece nulla almeno fino all’inizio della conca sottostante dove iniziamo ad attraversare il falsopiano che sembra quasi protrarsi in avanti all’infinito. Quando raggiungo il deposito degli sci, i nodi vengono al pettine e inizio una psicologica battaglia con la mia Alzheimer: lo spettro della rinuncia alla vetta causa dimenticanza dei ramponi sembra infatti prendere sempre più consistenza. L’unica soluzione è sferrare calci alla neve dura per poi cercare i passaggi sulle rocce come fossi su un campo minato. Risalendo così su una miriade di comodini in bilico, riusciamo finalmente a raggiungere la cresta. La baldanza delle ore iniziali dev’essere rimasta ben più indietro perchè ora arranco cercando con troppa frequenza una tregua al continuo ansimare. La cresta si trasforma in una stretta spalla nevosa poi, dopo un breve passaggio sul ripido versante a destra che affronto solo per la presenza della pedonata, torna a farsi stretta e affilata mentre la cima sembra quasi irraggiungibile. Mi do forza, risalgo l’ultimo tratto che spero nasconda il punto più alto e poi finalmente raggiungo l’obelisco di vetta. Restiamo su quello sputo di terra giusto il tempo per scattare qualche foto e buttare giù qualcosa e quindi ci rituffiamo sulle nostre tracce con la consapevolezza che dovremo stare ben più attenti onde evitare una scivolata con triplo salto carpiato. Così, quando torniamo agli sci, posso almeno affermare di aver fatto la salita by super fair means! Di solito, a questo punto, basta levare le pelli e iniziare a saettare verso valle mentre oggi, dopo una breve scivolata sufficiente a superare la conca, ci tocca risalire verso la sella mentre l’alito pesante di Eolo ci investe con tutto il suo odioso tanfo.

Le gambe e il fiato comunque rispondono ancora bene ma non così tanto da farmi osare anche solo a proporre di raggiungere il vicino Breithorn e quindi, terminata la risalita, possiamo finalmente buttarci giù per la discesa. Saetto su una coltre spettacolare sollevando sbuffi leggeri e intortando il Tommy che, vedendomi per la prima volta con i legni, probabilmente pensa che sia anche quasi capace di sciare! Dopo un breve stacca-attacca degli sci per superare un raduno fuori stagione di massi che avremmo potuto aggirare sulla sinistra se fossimo stati più attenti in salita, raggiungiamo rapidamente l’infido e breve traverso. Di fatto ora abbiamo ogni difficoltà alle spalle e dobbiamo solo riuscire a unire tutti i punti coperti di neve evitando di finire incagliati nelle secche erbose, incastrarci in qualche arbusto o lasciare il fondo degli sci su una roccia affiorante, impresa ardua e complessa ma che alla fine, con danni limitati, ci vede ancora sul gradino più alto del podio nell’attesa che finalmente arrivi una potente perturbazione.


Cavallo Goloso


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