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TAPIOCRE' – TORRE CECILIA

giovedì 09 giugno ‘16


Sto tornando caiano; sto tornando Fraclimb! La rinascita coincide, guarda caso, con la chiusura di due conti aperti: prima la Vicenza e ora Tapiocrè, passando per un’esperienza semi disastrosa al Lariosauro. All’inizio avevamo sperato e puntato ad un obiettivo forse ben più interessate: la Presolana su una qualche via di cui neanche sapevo il nome ma che sarebbe dovuta essere tassativamente caiana. Peccato solo che il meteo si sia preoccupato di metterci i bastoni tra le ruote organizzando temporali già dal primo pomeriggio! Instabilità del cazzo! Spararsi tutta quella strada per aprire l’ombrello non è certo il mio sogno, per cui decidiamo di rischiare l’apertura sulla più vicina Grignetta; del resto ho già in mente dove andare: torre Cecilia, Tapiocrè. Resto vago ma Tommy accetta e così eccoci a salire su per il sentiero che porta al Rosalba con il solo dubbio sulle condizioni della parete. Così, quando finalmente la parete spunta oltre il crinale boschivo, ho come un colpo: il diedro sembra un’autostrada per trote e salmoni mentre sulla parete soprastante scorrono le cascate del Niagara. Sarà l’ennesimo buco nell’acqua? A quel punto non ci resta che salire, ricongiungerci con il sentiero delle Foppe e tornare indietro ai grigioni del torrione Ratti; chissà poi a far che viste le mie capacità da FF! A volte però la cocciutaggine paga: mano a mano che ci avviciniamo diventa sempre più evidente che da quell’autostrada non può passare la nostra via che invece, per forza di cose, deve essere più a sinistra. Così con il naso all'insù e la speranza che si gonfia come una vela al vento, ci avviciniamo all’obiettivo finchè questo si innalza monolitico e maestoso dal prato svelandoci finalmente la nostra linea: asciutta e maledettamente, perfettamente in condizioni! Saliamo allora la placca sfasciumosa verso il camino d’attacco che si rivela ben presto la tangenziale di trote e salmoni: oddio, forse potremmo strusciare tra le pareti, fare gli arrampico-sub e poi continuare all’asciutto ma ho dimenticato la muta a casa così opto per la soluzione roccia asciutta ma marcia. Mi sposto quindi più a destra, proprio all’inizio del diedro e inizio a salire chiedendomi perchè non mi sia portato un po’ di colla per appigli e appoggi! Il friend tiene bene almeno finchè la lama su cui spinge resterà al suo posto. Mi alzo e picchio sulla roccia: vuota come un tamburo! Ottimo! Non tirare, sii delicato come solo tu sai fare. Poi mi ricordo che sono una balena spiaggiata e quindi inizio a pensare ad altro. I metri di puzzle male assortito comunque sono pochi e, finalmente, arrivo alla bella fessura del diedro. Piazzo lo 0,75 e sono salvo! Infatti, proprio quando tiro l’incastro, un piccolo gnocco va in mille pezzi: la parete si diverte a incularti quando meno te lo aspetti ma io non cado e riprendo a salire su fino alla sosta. Il tiro successivo lo ricordavo più facile ma, anche da secondo, sono costretto ad azzerare con la scusa che la fessura sia umida. Quando poi raggiungo il Tommy in sosta, lui ci prova ma io sono risoluto e deciso: non ci penso nemmeno a continuare sulla Marimonti! Voglio mettere una bella X sulla via e sono intenzionato a farlo. Parto per il traverso sotto il tetto: praticamente è un continuo azzerare tra chiodi e resinati. Panico, tranquillità; panico, panico, tranquillità fino ad arrivare dove inizia il diedro finale. Il cordino secco e marcio non ispira grande fiducia: infilo un bel Camalot giallo, lo testo e quello tiene ottimamente. Staffo, raggiungo il chiodo successivo e, con un ultimo nonché unico passo in libera, sono in sosta. Tommy mi raggiunge: stacca un chiodo e forse anche qualche pezzo di roccia ma arriva sano e salvo per poi riprendere sul tiro successivo. Risolto quindi il delicato tratto iniziale, qualche goccia isolata inizia a cadere ma la perdita si rivela un nulla di fatto almeno finchè l’amico non raggiunge una sosta e i rubinetti si aprono! La piovuta dura fortunatamente pochi minuti ma giusto il tempo per lavare tutto ciò che non sia verticale. Il caianesimo ha un sussulto mentre in testa iniziano ad assieparsi altre nuvole nere: riusciremo a calarci da qui? Non ne sono per nulla convinto e l’unica soluzione mi pare sia uscire dall’alto. Raggiungo il Tommy, afferro i ferri e inizio a sparare su verso l’alto. L’unica cosa che ho in testa è uscire prima possibile dalla parete: supero un tratto appoggiato e lavato ma incredibilmente ammanigliato e poi raggiungo una sosta. Di corda ne ho ancora: due o tre resinati sul verticale (rigorosamente e rapidamente azzerati) mi portano ad un chiodo un po’ ballerino. Lo rinvio e poi inizio a scalare; un passo leggermente aggettante mi porta sull’appoggiato spigolo finale e fuori dalla via, giusto in tempo per godermi la seconda piovuta di giornata! Siamo però caiani e questo è parte del gioco!


Cavallo Goloso


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domenica 11 gennaio ‘15


Il vento mi sferza il volto schiaffeggiandomi senza tregua mentre sono sul punto di essere spinto nell’abisso. Accetto a malincuore l’unica decisione sensata e, nel giro di pochi minuti, mi ritrovo nuovamente sulla stessa parete appena salita e nel verso opposto all’ascesa. Non doveva andare così ma, in fin dei conti, se qualcuno avesse abboccato all’amo, mi sarei trovato in situazioni ben più complesse!

Tutto quindi nasce dall’arsura per assenza di caianesimo che mi porta ad estrarre dal pallottoliere una via su cui, in realtà, avevo già messo gli occhi da tempo. Parto quindi presto, forse anche troppo, per l’insensato timore di trovarmi poi avvolto nelle tenebre, sicuro retaggio dell’idea iniziale di andare al Sengg; di contro, la sveglia prima dell’alba mi permetterà di restare per alcune ore al riparo della furia di Eolo.

Quando giungo alla parete, il sole è ancora indietro rispetto il suo cammino ma la roccia del Cinquantenario, sebbene ancora in ombra, non è per nulla fredda: ottimo! Supero l’attacco della Gandin e risalgo la breve placca sfasciumosa verso la base della prescelta. Dell’astro c’è solo l’ombra mentre il vento inizia placido e fresco ad alzarsi; poco male: dev’essere l’annuncio dell’approssimarsi del sole. Questione di minuti e mi troverò inondato dai caldi raggi ma, al momento, indosso tutto ciò che ho a disposizione mentre lentamente preparo il materiale. Decido quindi di tirarmi su per la parete il saccone, un po’ per evitare di risalire all’attacco, un po’ per immedesimarmi su una vera big wall con conseguente lavoro di braccia improbo! Del sole, intanto nessuna traccia: la bombatura della parete verso est lo tiene infatti lontano mentre il vicino Cinquantenario, lontano dal cono d’ombra, appare già tinto dai fiammeggianti colori dell’astro. Volevo il caianesimo? Eccomi accontentato! Mi infilo nel camino iniziale mentre il soffio di Eolo imperversa con maggiore forza, per effetto Venturi, rendendo la roccia gelida. Mi viene quasi voglia di lasciare perdere ma una forza misteriosa mi spinge verso l’alto facendomi strisciare lentamente e con inaspettata eleganza su per la struttura. È tutta una questione di piedi: capire dove metterli e quindi spingere. Scivolo così verso l’alto fino a sgusciare fuori dal pertugio: il vento ora è quasi inesistente e io mi preparo per il recupero del materiale e il tiro successivo. Ancora una volta sento l’impulso di abbandonare la parete ma poi parto verso l’alto: il diedro ha un ingresso scorbutico, che risolvo con una bella azzerata, quindi si fa decisamente più docile ma, intanto, la furia degli elementi si fa decisamente importante; sento l’ululato di Eolo aumentare la sua imponenza e, poco sotto la sosta ancora riparata dalla parete, inizio già a subirne lo schiaffeggiamento. La decisione è presto presa: proseguirò per il semplice spigolo Marimonti dove, se da un alto sarò ancora più in balia della bufera, dall’altro almeno potrò muovermi con maggiore rapidità. Abbandono quindi il progetto proprio alla base del tiro più impegnativo, supero la sosta e mi avvio verso la vicina cresta. Come previsto, la furia del vento qui raggiunge il suo apice dovuto anche alla struttura della parete che convoglia in uno stretto passaggio tutta la sua forza. Blocco la corda e abbandono rapidamente la posizione andando a recuperare il materiale. Quando sono nuovamente sulla cresta, Eolo mi sembra ancora più furioso: devo stare a carponi mentre ho la sensazione di soffocare come se la tempesta disperdesse l’ossigeno necessario. Ancora una volta cambio i programmi e decido di scendere dalla normale, lungo il versante opposto rispetto quello da cui sono arrivato. Ma, ancora una volta, il destino non mi vuole accontentare: scendere dall’intricato percorso della normale, soprattutto con un volumetrico saccone sulle spalle, significherebbe mettersi ancora di più in balia del vento e quindi non mi rimane che tornare da dove sono arrivato pochi minuti prima. Solo il cambio delle scarpe rimane una piccola impresa nel timore che una calzatura possa prendere il volo ma alla fine riesco a lasciare il budello e buttarmi là dove la tempesta sembra un po’ quietarsi.

Quando sono alla macchina, lontano dal vortice furioso, mi accorgo del nuovo “problema”: è solo la una e la giornata è ancora piuttosto lunga quindi sarebbe il caso di sfruttarla al meglio allungando il mio vagabondare e cogliendo l’occasione per risolvere una curiosità alpinistica sorta pochi giorni prima. Mi sposto quindi ai Resinelli e poi verso il sentiero della cresta Sinigaglia per salire quindi al torrione Fiorelli. Scarico di materiale, copro il breve dislivello in una manciata di minuti superando un camoscio che sembra non curarsi affatto del mio passaggio quindi scavalco la sella alla base della normale e raggiungo il versante sud ovest della parete. Guida alla mano, oramai non ho più dubbi: non mi trovo davanti ad un’altra Fisarmonica ma piuttosto ad un camino che qualcuno, chissà quando, ha già percorso. Per il resto, le informazioni sono piuttosto scarne anche se lasciano intendere che la via non sia poi malaccio; un possibile nuovo obiettivo per spezzare la noia di un’ennesima giornata in solitaria? Ai posteri l’ardua sentenza!


Cavallo Goloso


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