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OJO COMO VA? – SASSO CAVALLO

sabato 04 luglio ’09


E come volete che vada dopo quasi 10 ore di parete, di cui 2 perscendere (!), un’ora a camminare sotto la pioggia e l’abbandono di due chiodi, un cordino di kevlar e una maglia rapida?


Venerdì sera io e Cece saliamo al Bietti risparmiandoci così una sfacchinata per il giorno seguente e regalandoci la vista di un pizzo d’Eghen baciato dal sole del tramonto.

Dormiamo così saporitamente che la sveglia suona invano e veniamo catapultati dal mondo onirico a quello reale solamente dalla vibrazione del cellulare di Cece: Colo è già arrivato e ci aspetta sonnecchiante fuori dal rifugio. Dopo una veloce colazione, partiamo alla volta della Val Cassina e quindi della sud del Sasso Cavallo dove, memori delle nostre precedenti visite alla parete, rintracciamo senza problemi l’attacco di Ojocomo va?.


Al momento di scegliere il fortunato che metterà per primo le mani sulla roccia, siamo colti da rara galanteria e così ci passiamo ripetutamente la palla del primo di cordata. Alla fine la patata bollente rimane nelle mani di Cece che inizia quindi la salita: la roccia non è certo monolitica, ma il nostro capo cordata arrampica senza indugi fino a raggiungere la sosta sotto l’imponente tetto che dovremo superare con arrampicata faticosa. E’ ancora Cece che risolve la seconda lunghezza, alzandosi ripetutamente sulle staffe per venire a capo dell'angusto passaggio. Dal canto mio chiudo la cordata con il compito di recuperare i numerosi cordini che ci hanno consentito di salire: è un esercizio continuo di sgancio dei moschettoni e passaggio da una staffa all’altra che si ripete fino al superamento del bordo del tetto.

Siamo al terzo tiro: davanti ai nostri occhi abbiamo un traverso verso destra seguito da uno spigolino che chiude la visuale. Di nuovo, Cece lascia la sicurezza della sosta per spingersi verso l'ignoto. Si alza e quindi prova a spostarsi in orizzontale, raggiunge un buco, ma non si fida dello spalmo e quindi torna indietro. Riprova un paio di volte, ma con lo stesso risultato: il passaggio fino al primo spit è obbligato e non è possibile integrare. La patata ora è nelle mie mani: raggiungo il buco, ma poi torno indietro. Studio accuratamente gli appoggi che mi offre la roccia; non ci sono tacche o asperità, bisogna solo spalmare il piede fidandosi dell’aderenza della suola. Per un attimo mi vedo rigettare indietro dalla via: no, non ho voglia di tornare a casa con un altro buco nell’acqua! Raggiungo nuovamente il buco (che non è netto come pensavo), accoppio e, con uno scatto decisamente poco elegante, sposto i piedi spalmandoli sulla placca. Bene, anzi male: ora sono “chilometricamente” distante dalla sosta e l’unica soluzione è proseguire. Afferro un dentino propizio e con un altro movimento sono allo spit. Da qui, raggiungo lo spigolo che supero solo dopo un paio di tentativi e poi, finalmente, la sosta! Il tiro più impegnativo è alle mie spalle, ma, mentre recupero i miei amici, lo sguardo si volta verso l'alto studiando la prossima lunghezza.

Superato il diedro che sovrasta le nostre teste, mi trovo nuovamente solo e lontano dagli sguardi di chi mi assicura: già da alcuni minuti sono fermo nello stesso punto e non riesco a decidermi di proseguire. Sotto di me, due chiodi e un C3 costituiscono le uniche protezioni che mi separano dal primo spit troppo lontano per poter tornare utile in caso di volo.Devo sperare che la zolla su cui appoggio il piede sia sufficientemente robusta; riesco ad afferrare dall'imbrago un micro-dado e ad incastrarlo nella fessura rovescia sopra la mia testa. La protezione è decisamente aleatoria, ma mi da quel pizzico di sicurezza (o pazzia?) necessaria per proseguire e assicurarmi alla sosta: appena inizio a recuperare le corde, il dado salta e raggiunge il chiodo sottostante.

Raggiunto da Cece, mi offro per proseguire anche sulla quinta lunghezza per poi cedergli successivamente la conduzione. I tiri che seguono sono più tranquilli o, per lo meno, i tratti da proteggere sono più brevi o comunque meno impegnativi, anche se una staffata su dado non me la lascio perdere. Oramai questa protezione da incastro sta diventando una costante compagna nella mia tecnica di progressione!


Come promesso, alla sesta lunghezza passo le corde a Cece e così riesco quasi ad arrampicare (e a divertirmi!) sulla compatta placca che porta alla sosta. Dividiamo il tiro successivo in due tronconi e poi la conduzione torna nelle mie mani. Ancora una volta la via mostra i denti seppur non con la stessa efficacia dell'inizio, anche se la salita mi impegna non poco.


Decidiamo di non salire l'ultimo tiro, anche perchè la stanchezza comincia a farsi sentire dopo circa 7 ore e mezza di parete e i crampi non lasciano scampo a Colo che preferisce aspettarci in sosta. Buttiamo quindi le corde per iniziare la discesa dubbiosi che l'operazione possa essere priva di difficoltà, visto che la via tende a spostarsi verso destra. Scendendo in diagonale per un paio di doppie e con un lungo pendolo da parte di Colo, ci ritroviamo a metà parete. Con la calata successiva non riesco però a raggiungere la sosta, trovandomi così costretto ad improvvisarne una sfruttando uno spit di passaggio che rinforzo con due chiodi comunque precari. Il tintinnio del martello è interrotto dal frastuono di alcuni tuoni provenienti dalla cima del Grignone: ci manca solo il temporale!

Finalmente, con un ultima doppia completamente nel vuoto, ritocchiamo il ripido prato alla base del Sasso Cavallo. Sotto un cielo divenuto ancora più tetro,risaliamo il faticoso sentiero della Val Cassina e, dopo una meritata sosta, ci gettiamo verso il rifugio. Siamo a pochi metri dalla costruzione, quando alcuni grossi goccioloni iniziano a precipitare subito seguiti da altri loro simili e poi da una copiosa grandinata che lascerà sul terreno due dita di ghiaccio.

Vista l'ora e la quantità d'acqua che cade incessantemente, ci “rassegniamo” a divorare un piatto di ottimo risotto coi funghi prima di riprendere la strada per il Cainallo accompagnati dal tamburellare della pioggia.


Cavallo Goloso


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