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EPERON DES AMERICAINS – GRAND RAPPEL (EN VAU)

domenica 23, lunedì 24 aprile ‘17


Sbarchiamo in Francia, in riva al mare, sabato pomeriggio e subito qualcosa non va: non è per l’insolito posto per un trio di adepti dell’aquila visto che, oltre al mare cristallino, c’è un nugolo di pareti di ottimo calcare, no, il problema è un altro. Guardo il calendario, mi accerto che quello sia il Mediterraneo e non il Mare del Nord ma continuo a restare di ghiaccio: sarà forse per la temperatura che a mala pena arriva a contare due cifre?

Forse anche per questo ritorno d’inverno, la mattina veniamo meno alla natura caiana della sveglia prima dell’alba e poi ci avviamo verso Eperon des Americains, obiettivo scontato per un manipolo che ha nel DNA chiodi e staffe! Dopo uno snervante avvicinamento a base di sali scendi, ci congediamo dal già pullulante mondo degli spiaggiati orizzontali con un traverso a pelo d’acqua verso lo spigolo lungo il quale mi immagino scaricare la ferraglia che tintinna dall’imbraco. Invece, con certa delusione, la mia sete di avventura non trova modo di dissetarsi visto che la linea si rivela ben presto addomesticata: mi sarei aspettato un maggiore rispetto verso i tre apritori, mentre sembra che la filosofia “plaisir” abbia nuovamente segnato un punto a proprio favore. Sarà forse per assecondare un ambiente che ha poco da spartire con il rude mondo alpino tanto che, senza offesa per i due soci, sarebbe stato ben più interessante essere in compagnia di una bella gnocca!

Ma basta già il secondo tiro per scoprire i vantaggi della mancanza di femmina e conseguenti distrazioni: essere in super pompa! La fessura spancia dalla base; la osservo individuandone i punti deboli e poi inizio a scalarla portandomi sulle spalle lo zainetto per rispondere ad un anacronistico stile pesante anni ‘70! I tiri successivi si rivelano ancora più eleganti: prima un lungo muro verticale per poi entrare nelle viscere scure della parete dove la roccia apre le fauci in una tetra nicchia marrone. Stento a credere che dovrò infilarmi là dentro, eppure la linea si inerpica da quella parte. Richiamo ancora la pompa e alla fine mi trovo a guardare il panorama dal punto più alto.

La giornata però è ancora lunga e chiuderla così sarebbe come non terminare un vassoio di pasticcini (questo sempre perchè di donne nemmeno l’ombra). L’opportunità per proseguire la scalata si materializza di fronte ai nostri occhi proprio durante la discesa quando si materializza un elegante obelisco con il suo spigolo affilato. Ovvio che la voglia di salirlo schizzi alle stelle! Ma ci sarà una via? Penso alla ferraglia che abbiamo con noi: forse potrebbe bastare per un attacco completamente clean. Sarebbe un gran bel regalo per la nostra mini spedizione francese! Un’occhiata alla guida è però sufficiente per farci capire che siamo davanti a Super Sirene: svanita ogni velleità d’apertura, almeno siamo quasi sicuri di raggiungerne la cima! Lasciamo quindi Walter intento al riposo (o a procacciare donne?) e, insieme a Renzo, mi avvio su per la lama dello spigolo. La via, decisamente elegante, passa rapida, peccato solo per il marmo di Carrara che ne caratterizzi le prime due lunghezze, tanto da prepararci per uno stage arrampicatorio a san Pietro. Il tutto viene poi insaporito da un cespuglio poco prima della metà del secondo tiro luogo di villeggiatura per uno sciame di api che ci vola intorno come gli aerei verso la torre di controllo: schizzo verso l’alto sperando di non imbattermi in una squadriglia e poi mi avvio verso il passo chiave. Sapendo bene che la potenza è nulla senza il controllo, mi avvinghio alle prese patinate sperando che le scarpe non scivolino sul sapone e, soprattutto, che il socio non sia troppo preso a guardarsi intorno finchè lascio sotto le chiappe il duro intascando di fatto anche questo pinnacolo.

Il giorno seguente siamo ancora alle prese con una parete (tanto per sottolineare la monotonia del caiano) anche avrei fatto più volentieri l’FF (sacrilegio!). Sfoglio la guida considerando due semplici parametri: le 3 stellette e la massima difficoltà possibile, non perchè sia diventato di colpo un Huber, semplicemente perchè da queste parti dominano le linee facili. Scoviamo così Hymne a la Vie che con il tiro chiave proprio all’inizio sembra una buona sfida. Il primo problema però (a parte l’assenza femminile) è sempre il solito: dove diavolo sarà la parete? Navighiamo così tra bassi cespugli pungenti facendoci guidare dall’istinto e confidando di uscire dall’intrico di ramaglie finchè l’infallibile bussola caiana ci deposita sotto la parete. Come per la prima via, mi cucco la salita da capocordata iniziando a scalare sul bel muro a gocce fino al passo chiave, una specie di bombè che mi deposita su una netta fessura. Oramai dovrebbe essere solo una discesa verso la vetta! Infatti le due lunghezze seguenti mi fanno sputare ben oltre quanto avessi pensato: preso oramai anche dalle regole dell’FF che aborra il tirare tutto ciò che non sia una presa, arrovento le meningi per venire a capo del breve traverso del secondo tiro mentre il successivo mi da più filo da torcere di quanto lasciasse intendere la relazione. Ci troviamo così appollaiati alla base di un diedro verticale, logica linea per qualsiasi bollinato, invece noi dovremo ficcarci su per la faccia strapiombante a sinistra. Mi viene il voltastomaco, sono praticamente certo che dovrò arrabattarmi con il cordino-staffa ma ho anche il dubbio che il trucco possa non essere sufficiente. L’idea di svicolare su per la linea più debole prova anche a lusingarmi ma alla fine resto ligio ai miei doveri e inizio a salire su per lo strapiombo. Mi allungo ad ogni passo e ogni volta è come rompere l’uovo di Pasqua della Kinder che nasconde non il classico e inutile portachiavi ma un bel giocattolo. Nel mio caso il ludico oggetto è sostituito da prese sempre buone che, insieme alle due tenaglie che hanno sostituito le mani da impiegato, mi permettono di danzare (questo almeno è quello che mi sembra) su fino al pianoro soprastante dove termina la via.


Cavallo Goloso


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