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VIA NORMALE – PIZZO DEL FERRO ORIENTALE

mercoledì 07, giovedì 08 dicembre ‘16


Ancora una volta mi trovo solitario a inseguire i miei sogni. Probabilmente il motivo sta nel fatto che la maggior parte degli altri caiani oggi è al lavoro ma non è nemmeno da escludere che il sottoscritto possa essere piuttosto antipatico o forse con l’alito pesante. Già perchè quando mi trovo in falesia a staffare tra uno spit e l’altro, non è difficile trovare qualcun altro con le rotelle non proprio in asse ma poi, quando arriva il momento della resa dei conti, salta fuori che la zia del trisavolo dell’amico di infanzia della nonna di un lontano conoscente ha un fastidiosissimo pelo incarnito sotto l’alluce e quindi il potenziale compare deve assolutamente assistere la megera! Come risultato, mi trovo quindi a blaterare del più e del meno con la mia ombra e con il peluche di coccodrillo che tira fuori il muso guardingo dallo zaino. Gli sci sono rimasti in macchina perchè il sadomaso mi piace fino ad un certo limite: la neve infatti inizia solo sopra i 2000 metri e, tra l’altro, con un numero di centimetri non molto diversi da quello della compagnia con cui ansimo su per il pendio. Mi metto quindi a pestare neve sperando di riuscire a raggiungere l’obiettivo di giornata con il motore che ha già iniziato a dare segni di cedimento trasformando quindi gli ultimi metri in una specie di via Crucis che mi porta, finalmente, davanti alla ridente tolla rossa sormontata da uno spesso cappello nevoso. Riesco solo ad aprire la metà superiore della porta e poi, con un movimento “Cassina” che meriterebbe almeno un 9, mi ritrovo all’interno della struttura a recuperare la pala del badile modello Fiat: il manico infatti è un optional non compreso nello strumento! Poco male, non ho molto da spalare e, se non altro, l’attività mi permette di tenere alta la temperatura corporea in attesa di iniziare gli altri mestieri di casa: sciogliere la neve, preparare un buon tè quindi liquefare dell’altra neve e cucinare il risotto per la cena. Alle 20:30, dopo aver sbarrato la porta d’ingresso nel timore di non si sa cosa, io, la mia ombra e il peluche di coccodrillo ci infiliamo nel sacco a pelo e sotto un paio di coperte in attesa dell’arrivo di Morfeo.

Alle 6 veniamo svegliati dal cellulare che inizia la lagna del suo “it’s time to get-up” e, dopo circa 40 minuti, io e il peluche ci divertiamo a farci schiaffeggiare dal freddo dando il via al quarto attacco al pizzo del Ferro Orientale! L’ombra invece se ne sta ancora al calduccio in attesa dell’arrivo del sole. Mi dirigo quindi verso il fantomatico pendio a Z finchè finalmente la montagna la smette di allungarsi in orizzontale lievitando invece verso l’alto: supero così il ripido pendio fino a raggiungere il pianoro sotto la cima da cui posso studiare il passaggio che mi aveva respinto l’ultima volta. Tirati fuori i denti e la picca, mi avvio quindi verso le colonne d’Ercole senza fare caso al foglietto “qui è arrivato il codardo” e facendo invece lavorare l’attrezzo di Giancarlo Grassi tra neve polverosa e ghiaccio. Forte delle mie recenti prestazioni falesistiche, mi convinco di essere capace di superare il breve passo di misto senza pensare che associare le due attività sarebbe come mangiare Nutella su una bistecca! Tuttavia l’illusione è efficace: supero il tratto, risalgo il facile pendio e mi ritrovo finalmente a contemplare la montagna ai miei piedi. Ottimo: sono come il carcerato che si è auto imprigionato! Con una convinzione simile, mi godo il panorama solo una manciata di minuti e quindi inizio la discesa: se infatti non dovessi riuscire a passare quel tratto, potrei essere in un guaio! Invece, ancora una volta, le mie doti di grande alpinista mi permettono di riportare il fondo schiena oltre la porta della prigione e quindi, a quel punto, poter ritenere praticamente conclusa l’impresa solitaria. Ma la mente malata ha già un piano bis: visto che ho a disposizione un po’ di ore di luce, perchè non provare a sfacchinare verso la val Qualido? Detto e fatto, gli scarponi iniziano a guidarmi alla volta dell’omonimo passo fino a farmi trovare sul bordo di un baratro, un pendio decisamente ripido e carico di neve da sembrare Bolt pronto al via dei 100 metri! Guardo a destra e a sinistra ma del sentiero di discesa nessuna traccia. In compenso vedo abbastanza chiaramente due strane figure appollaiate alcuni metri più in basso: la prima vecchina tiene da una parte un filo svolto e dall’altra un grosso paio di forbici con cui sta allegramente giocherellando mentre mi osserva attentamente. La seconda, incappucciata in un abito nero che la ricopre completamente, sembra invece intenta ad affilare la lunga lama della falce che stringe in pugno. Ma non è questa visione a farmi girare i tacchi quanto, piuttosto, un’altra insolita figura che batte ripetutamente sulla mano un’enorme mazza ferrata e arrugginita stile Flinstone; aguzzo la vista e ben presto riconosco i tratti inconfondibili di Micol mentre mi pare sentirla: “Mazzate! Mazzate!”. La minaccia è più che sufficiente a lasciarmi desistere e farmi bastare la vetta appena raggiunta nonché quella manciata di centinaia di metri che mi mancano per rientrare nella civiltà.


Cavallo Goloso


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